Nel percorso di avvicinamento alla XXXVI edizione di Ravenna Festival e a qualche giorno dall’avvio della seconda edizione “Romagna in fiore” – sorta di preambolo campestre nel senso migliore del termine, creato lo scorso anno quale omaggio a un territorio segnato dall’alluvione che viene ripreso quest’anno tra il 10 maggio e il 2 giugno – cerchiamo di approfondire il lato contemporaneo più trasversale e contaminato di questo cartellone 2025. Un percorso di indagine che tracciamo qui con Franco Masotti, figura ormai storica della duplice direzione artistica di questo festival che condivide con Angelo Nicastro, che incontreremo in occasione della prossimo approfondimento dedicato al repertorio più classico della programmazione.
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Partiamo da “Romagna in fiore”, sorta di preambolo che dal 10 maggio al 2 giugno anticipa il cartellone per così dire “ufficiale” di Ravenna Festival. Proposto per il secondo anno consecutivo, che senso profondo riveste questo omaggio allo spirito di comunità e resilienza dei territori funestati dagli eventi alluvionali?
«Se l’emergenza alluvione si è nel frattempo smussata – ma certo non dimenticata perché rimane comunque sempre minacciosa all’orizzonte – aumenta la volontà di valorizzare territori e paesi poco conosciuti ma di grande attrattiva sia naturalistica che storico-culturale, sempre più a rischio spopolamento (e non solo per l’emergenza climatica). Romagna in fiore vuole essere un invito al viaggio, al mettersi in cammino verso luoghi – spesso insospettabilmente prossimi – di grande bellezza. C’è da dire che dopo il successo della prima edizione siamo stati ‘chiamati’ da sindaci, amministrazioni locali a portare i concerti nei loro paesi e così come dire di no? Nello stesso tempo la richiesta è nata anche dalle persone che hanno molto apprezzato l’approccio che abbiamo scelto nel tentativo di favorire un dialogo più profondo con gli ambienti, rigorosamente raggiunti a piedi o in bicicletta, in un nuovo modo di percepire la musica, distanti da tutte le innumerevoli fonti di distrazione/inquinamento sonoro che un contesto urbano inevitabilmente contiene. Così aumenta la comunione, la vicinanza con chi ti è prossimo in un’ottica di condivisione e di più profonda socializzazione di un’esperienza estetica. In poche parole Romagna in fiore risponde a un bisogno, a una necessità sempre più avvertita».

Passando al programma vero e proprio, troviamo figure come quelle di Max Richter, Heiner Goebbels e altre presenti in un cartellone che ci parla di prospettive diverse sull’orizzonte musicale contemporaneo…
«Penso che Heiner Goebbels sia uno dei compositori più interessanti e innovativi di oggi, tra i pochissimi – grazie a una straordinaria visione teatrale, oltre che sonora – in grado di offrire una proposta convincente di teatro musicale, inteso anche come teatro dell’ascolto. Surrogate Cities è ormai un vero ‘classico’ della musica contemporanea: una sorta di ‘opera mondo’, città ‘invisibile’ - tra Calvino e Benjamin - ma sonoramente percepibile in cui entrare e aggirarsi con le orecchie ben aperte. Un approccio certo molto diverso da quello di Max Richter, esponente di punta di una nuova categoria/stile che è stato denominato “classico contemporaneo”. Un mondo sonoro il suo certo meno complesso, più suadente ma emotivamente molto coinvolgente, che non a caso è stato molto utilizzato nel cinema, contribuendo così a rendere Richter conosciuto a un pubblico più ampio. Credo che la missione di un festival come il nostro sia anche quella di rendere conto della molteplicità dei linguaggi musicali, o artistici tout court, senza per questo sposare una tendenza in particolare».

Sempre sul piano della musica dell’oggi, proposte come quelle della La Zawinul Legacy Band 3.0 o di figure come Uni Caine si spostano sul versante jazz: che ruolo gioca questo ambito musicale nel cartellone 2025 del Ravenna Festival?
« Il jazz è un linguaggio presente nella programmazione del Ravenna Festival a partire dai suoi primi anni né potrebbe essere diversamente perché rimane una delle espressioni musicali più vivaci del nostro tempo, in continua evoluzione. Lo stesso Joe Zawinul fu protagonista di una ormai lontana edizione, così come lo sono stati – tra gli altri – Keith Jarrett, Chick Corea, John McLaughlin, Herbie Hancock o Misha Mengelberg con Han Bennink, e ora vogliamo ricordarlo con un progetto, quello della Zawinul Legacy Band 3.0 che ripercorre l’odissea musicale del grande tastierista austriaco da Vienna a New York. Il progetto di Uri Caine poi, dedicato all’attivista dei diritti civili afroamericano Octavius Catto – un Martin Luther King del XIX secolo – ci dà modo di ascoltare in concerto, sia pure una versione ridotta per quintetto, questa sua grande opera-oratorio il cui significato è ancora più pregnante nel particolare momento che gli U.S.A. stanno attraversando. Ma oltre al duo composto da due fuoriclasse come Enrico Rava e Stefano Bollani, espressione del migliore jazz italiano-europeo, vorrei sottolineare l’importanza della “Lunga Notte dello Spiritual Jazz”, dedicato alla figura di Alice Coltrane – musicista che negli ultimi anni è stata giustamente oggetto di una riscoperta e valorizzazione – e che vedrà la partecipazione di musicisti di grande interesse e originalità come i sassofonisti Lakecia Benjamin e James Brandon Lewis, assieme a Hamid Drake, Jan Bang e altri ancora. Last but not least una delle voci più ammalianti di questi ultimi anni, la pakistana Arooj Aftab».

Il connubio musica e danza rappresenta un elemento caratterizzante lo spirito trasversale e contaminato della vostra programmazione: tra il ritorno del gala Les étoiles e la Notte Morricone, come si declina quest’anno questa parte dell’offerta culturale del Festival?
«Ravenna Festival ha voluto quest’anno promuovere soprattutto la scena coreutica nazionale, troppo spesso sottovalutata, con l’ultimo grande progetto di AterBalletto, Notte Morricone, che nasce anche da una collaborazione con il festival e – soprattutto – con l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini che ha eseguito le musiche del compositore romano registrate per lo spettacolo. Sempre di AterBalletto ospiteremo poi una nuova sequenza di MicroDanze, formula che ha incontrato molto favore lo scorso anno. Oltre al ritorno di Les Etoiles, il progetto di Daniele Cipriani che quest’anno diventa pour homme, interamente com’è declinato al maschile, ci sarà poi la presenza della Compagnia di danza MM nell’ambito del progetto The Wall & Pink Floyd Greatest Hits, dedicato alla musica dei Pink Floyd, e che si avvale delle coreografie di Michele Merola, senza dimenticare un omaggio a Micha van Hoecke, il grande coreografo che è stato, con il suo Ensemble, uno dei protagonisti del Ravenna Festival a partire dalle primissime edizioni, con La dernière danse? ad opera di Miki Matsuse, compagna di arte e di vita di Micha, con il Balletto di Roma. Su un fronte più contemporaneo poi segnalo il progetto Fragolesangue concepito da Zoe Francia Lamattina e Ida Malfatti come riscrittura, dopo 30 anni, di Fragole e Sangue, iconico lavoro di Monica Francia».

Anche il teatro gioca un ruolo di rilevo: quali sono gli appuntamenti principali in questo ambito?
«Il teatro è da sempre una delle colonne portanti del nostro festival anche perché nel territorio – già definito per questo Romagna Felix – operano numerose compagnie di rilevanza nazionale quando non europea che hanno arricchito la programmazione con produzioni originali e variamente dialoganti con le nostre scelte tematiche. Ed è questo senz’altro il caso del Teatro delle Albe, fondato da Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, presente in cartellone con due spettacoli: Lisistrata, da Aristofane, prodotto dal Parco Archeologico di Pompei e che vedrà protagonisti oltre ottanta adolescenti di quel territorio e Don Chisciotte ad ardere, trittico giunto alla sua anta finale (ma messa in scena preceduta dalle altre due). Fanny & Alexander, reduci da una quaterna di premi UBU, propongono in prima assoluta il loro Ghosts, tratto dai testi della scrittrice americana Edith Wharton, con le musiche originali di Luigi Ceccarelli. Ma ci saranno anche Marco Baliani con il suo Del coraggio silenzioso, Alessio Boni (La Traviata sono io) e Maurizio Lupinelli con il beckettiano Finale di partita».

Pensando al domani, nella nostra precedente intervista Anna Leonardi e Michele Marco Rossi si sono delineati come i futuri direttori artistici di Ravenna Festival: come vede questa prospettiva?
«La vedo pensando inevitabilmente a ritroso, al mio passato, allorché iniziai la mia lunga avventura con il Ravenna Festival nel 1997 con un progetto speciale intitolato Transcaucasia e dedicato alle musiche antiche e contemporanee di Armenia e Georgia. Il progetto si rivelò, per me inaspettatamente, un successo e fu così che ancor più inopinatamente venni chiamato, con Angelo Nicastro, proveniente dall’Accademia Bizantina, alla direzione artistica del festival, dove sono rimasto ininterrottamente fino ad oggi, per quella che sarà – per una mia serena decisione – l’ultima curatela. Come dire: la storia torna a ripetersi con Anna Leonardi e Michele Marco Rossi, che dopo la loro Chiamata alle arti dello scorso anno si sono guadagnati sul campo una nomina-promozione molto importante. Sono cose che possono accadere qui da noi e, penso, non così facilmente altrove, dove le logiche e le consuetudini possono essere molto diverse. La sfida di preservare uno spazio non residuale per una visione ampia di ciò che ci è veramente contemporaneo, difendendolo dalle facili lusinghe di un’arte sempre più intesa come mero ‘intrattenimento’, è ardua e richiede coraggio e determinazione: sono convinto che loro, giovani e entusiasti come sono, ne siano ben dotati. Non posso che augurargli buon lavoro per tante edizioni di successo».
Il programma completo di Ravenna Festival 2025 è disponibile qui.