ITALODISCHI #1 2024 – Da Calcutta ai Bachi da Pietra

Primo appuntamento dell'anno con il meglio dei dischi italiani

Bachi da pietra ITALODISCHI
Bachi da Pietra (foto di Beatriçe Gjergji)
Articolo
pop

Dopo la “magra” di dischi del trimestre estivo, gli ultimi mesi del 2023 hanno visto un’esplosione di pubblicazioni straordinaria e credetemi, fare una selezione stando tra i sei e i dieci dischi questa volta è stata un’impresa.

Tagli dolorosissimi ma inevitabili, e quindi tante scuse a chi non ha trovato posto in questa rassegna, nella quale in pratica finirò solo col parlare di dischi belli, poiché i primi a saltare sono ovviamente quelli che mi hanno convinto di meno.

Ad esempio gli album di Elodie, che ha fatto esattamente il disco che ti aspetti da Elodie ma senza i balletti sexy, e di Colapesce Dimartino, per i quali avevo pronta una stroncatura esemplare, in quanto proprio non capisco l’entusiasmo diffuso che li circonda.

E poi tanti, tantissimi nomi dell’indie che ho dovuto scartare malgrado il relativo valore. Quanto ai fuoriclasse, quelli hanno già giocato in un altro campionato: di Paolo Saporiti abbiamo parlato in separata sede, i C’mon Tigre hanno avuto una menzione nella mia playlist 2023 e si faranno bastare quella.

– Leggi anche: Il punto sul pop italiano 2023 (#3)

Come al solito, mix senza particolari criteri di mainstream, indie e robe più astruse; non per soddisfare i gusti di tutti, ma solo e unicamente i miei (ah ah).

Calcutta, Relax

E non è per essere para(cetamo)culi che iniziamo da Calcutta, ma perché, mannaggia a lui, ha fatto un disco che è proprio venuto bene.

Non che i precedenti fossero da meno; ma c’è sempre stato un atteggiamento un po’ sospettoso nei suoi confronti, come se non meritasse di essere preso sul serio. All’alba del quarto album (si chiama Relax), possiamo mettere da parte le fisime e riconoscere al cantautore di Latina la capacità di scrivere grandissime canzoni. Certo, somiglia sempre molto a Battisti; ma nessuno l’hai mai saputo reinterpretare in modo così convincente, facendo una sintesi tra il periodo di Mogol e quello di Panella, e mettendoci in più un uso disinvolto, moderno e assai efficace dell’elettronica. I testi non saranno a livelli poetici assoluti, ma sanno parlare a una generazione, e scusate se è poco. E comunque, un talento melodico come quello di Calcutta è veramente merce rara.

Bianco, Certo che sto bene

Uno che potrebbe forse insidiarlo in questo primato è Alberto Bianco, che invece è ormai al sesto disco e sembra distante anni luce dal cantautore ruspante e un po’ ingenuo (ma così affascinante) che esordiva dodici anni fa con Nostalgina.

Il nuovo disco Certo che sto bene attesta la condizione di piena maturità dell’artista torinese, che scopre come mai era successo prima una vena melodica ispiratissima (forse dovuta alla sua esperienza come autore per Giorgia e Levante, chissà). Ad ogni modo il disco trova un equilibrio speciale tra orecchiabilità e intimismo, e questo per un cantautore dovrebbe essere il risultato più soddisfacente a cui ambire.

Ventidue, Colmare

Tra i tanti esordienti di questa fine d’anno quello che mi ha più impressionato si chiama Ventidue (vero nome Filippo Pietrobon); il suo disco Colmare ha un titolo che si può leggere in due modi: o con il verbo, che intende annullare una distanza tra due persone che si amano, o in due parole, essendo l’album una sorta di concept a tema marino.

In questa autoproduzione si intravede un certo talento nella scrittura di canzoni originali: testi interessanti, interpretazione personale, arrangiamenti non scontati. Certo l’autore è ancora un po’ acerbo, ma se non si perde per strada potrebbe davvero diventare una bella realtà.

Long Hair In Three Stages, The Oak Within The Acorn

Ma non vorrei dare l’impressione di parlare solo di cantautori; cambiamo allora completamente registro e passiamo a una band di tutt’altro stile. Si chiamano Long Hair In Three Stages (il riferimento è a un album – memorabile – degli U.S. Maple), vengono da Catania e questo The Oak Within The Acorn è il loro terzo album in oltre 12 anni di attività.

Catania è una delle città più rock d’Italia e questo gruppo non fa eccezione: il loro sound è un noise rock che segue il fil rouge che collega i Wire prima versione agli Shellac, attraverso i Butthole Surfers e tutta la scena della Touch & Go degli anni Ottanta e Novanta.

Canzoni urticanti, spigolose e, in questo caso, ben poco melodiche; l’accento è tutto sull’energia, tenuta prima compressa e poi lasciata esplodere, e a volte c’è proprio bisogno di sferzate di questo tipo.

Bud Spencer Blues Explosion, Next Big Niente

Chi conosce i Bud Spencer Blues Explosion sa che anche nel loro caso è spesso stata questione di energia; d’altronde una formazione a “power duo” di chitarra-voce e batteria porta abbastanza naturalmente a una scelta del genere. E invece, per il nuovo Next Big Niente la coppia Viterbini/Petulicchio ha preparato una grossa sorpresa che vi lascerà basiti (ne ha parlato anche Alberto Campo su queste pagine)

– Leggi anche: Bud Spencer Blues Explosion, duo di vandali

Il sound è stato completamente destrutturato; non ci sono riff facilmente individuabili e al contrario l’album sembra essere un flusso ininterrotto che mescola il trip psichedelico alla cavalcata kraut-funk – se vi dico un’assurdità tipo Grateful Dead meets Neu! meets Talking Heads forse potete farvi una vaga idea di cosa potreste ascoltare.

Il fatto è che l’insieme funziona benissimo e ha anzi un groove spettacolare, oltre che molto originale. Veramente un disco spiazzante (nell’accezione più positiva possibile del termine).

DayKoda, Uno

Già che si parla di groove, la palma del migliore in ambito “beats” la vorrei però assegnare a DayKoda e al suo bellissimo Uno (che a dispetto del titolo è il suo terzo album).

Eclettismo a profusione per un disco che è “un mix di new funk/soul, jazz ed experimental hip-hop”, dalle parole stesse dell’autore, e che in effetti riesce a spaziare dalla jazztronica anni Novanta (quella che flirtava col drum’n’bass e che passava dalle atmosfere downtempo a pezzi attorno ai 180 bpm e oltre) alla sampladelia sfrenata alla Flying Lotus, all’ambient soul del nuovo millennio e a tante altre cose ancora.

Uno è un album che rivela bellezze nascoste a ogni nuovo ascolto, e DayKoda con questa prova può tranquillamente ambire al ruolo di Thundercat italiano.

Santa Chiara, IMPORTED

Curiosamente, anche a questo giro abbiamo un esempio di “cantautrice italiana che vive stabilmente all’estero” (le precedenti erano Marta Del Grandi e Birthh). Si tratta di Santa Chiara, pseudonimo di Chiara D’Anzieri, origini torinesi, enfant prodige capace di suonare vari strumenti fin dalla tenera età, formazione classica, e un inaspettato trasferimento negli Usa a 25 anni, per amore di quello che sarebbe diventato suo marito.

Questo suo esordio, IMPORTED, racconta la sua storia personale e i cambiamenti nella sua nuova vita; lo fa con un registro tendenzialmente delicato, con appena qualche puntata più frenetica, una cosa che potrebbe stare a metà strada tra Blondie e Sheryl Crow; esce sulla prestigiosa label Kill Rock Stars, non è miracoloso ma mostra un certo equilibrio tra senso del pop e rispetto della tradizione.

Bellujno, Bellujno

Se vogliamo però parlare di tradizione, e di musica dalle radici americane, nessuno può rivaleggiare con Bellujno. Si tratta di Luca Impellizzeri, un altro catanese, all’esordio con questo moniker dopo un paio di (ottimi) dischi con i Da Black Jezus.

Bellujno prende gli stilemi del blues primigenio e del folk più crudo, li spoglia di qualsiasi sovrastruttura e li fa rivivere con arrangiamenti scarni e scuri che non ne intaccano in nessun modo il fascino grezzo e assoluto.

Canzoni spoglie, dirette e desolate, molto dark nell’umore, e i fantasmi di Captain Beefheart, Tom Waits e Gil Scott-Heron a osservare. Produce Cesare Basile.

Bachi da pietra, Accetta e continua

Anche i Bachi da pietra per certi versi lavorano con la tradizione; ma nel loro caso si tratta di assumerne alcuni elementi, mischiarli con altri, creare dei contrasti e dar vita a qualcosa di nuovo. Gli elementi “altri” in quest’ultimo Accetta e continua sono sempre più estremi ed eterogenei, comprendendo scudisciate metal, elettronica scura e stridente, voci strascicate e/o catacombali, testi surreali e provocatori, arrangiamenti inconsueti.

Dopo quasi vent’anni di vita, i Bachi non hanno perso un grammo della loro forza d’impatto e riescono comunque a essere sorprendenti.

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