Quattro Santi Semplici Gioiosi

Il Teatro Sâo Carlos di Lisbona ha proposto a Bob Wilson di rimettere in scena la sua regia di "Four Saints in Three Acts", la strana "opera che Gertrude Stein scrisse per la musica di Virgil Thomson: un nonsense gioioso, luminoso su Santa Teresa, Sant'Ignazio e altri santi che giocano con le parole

Recensione
classica
Teatro Nacional de Sâo Carlos Lisbona
Virgil Thomson
22 Febbraio 2002
"Four Saints in Three Acts" è indubbiamente teatro musicale: sembra un'opera, effettivamente; ci sono cantanti, un'orchestra, un direttore, un libretto. Ma non ci si capisce niente: il libretto lo ha preparato Maurice Grosser intagliando dentro il "play" scritto da Gertrude Stein un intreccio, un simulacro di storia scenica, di vicenda narrativa. I santi non sono quattro, ma sostanzialmente due (Santa Teresa e Sant'Ignazio), ma in realtà ventiquattro, che tutti insieme come un coro di singolarità petulanti cantano ciascuno la sua parolina placida e sublime, o furbetta e terrena: gli atti non sono tre, ma in realtà quattro, perché il quarto atto non serviva più a parlare di cose terrene, però ci fa vedere questo coro di santi spagnoli tutti insieme, nella dimora celeste, ben contenti, dopo che al Cielo avevano pensato dalla Terra. Gertrude Stein scrisse questo testo a metà anni Venti; era a Parigi come tanti altri americani, ad assaporare il gusto delle avanguardie. Era amica di Picasso, che le fece il memorabile ritratto. A Parigi, tra i primi di una lunga dinastia di allievi americani di Nadia Boulanger, c'era anche un compositore di Kansas City, Virgil Thomson, che stava a Parigi come Walter Piston, come Aaron Copland, a imparare come scrivevano Debussy e Satie. Per Thomson, Satie era un maestro di semplicità, di ironia, di trasparenza, d'etica estetica. E mentre il testo della Stein gioca, come un bambino, ma non puerilmente, con le parole (nonsense apparenti, limerick apparenti), "compone" parole e sviluppi di temi di parole come se fossero musica, Thomson, che amava la religiosità dei battisti nelle cui chiese aveva cominciato a suonare l'organo, scrive musica sulla partitura della Stein. La prima mondiale fu nel 1934 a Hartford, nel Connecticut, Usa, con le coreografie "angeliche" di Frederick Ashton, e interpreti e ballerini tutti afroamericani. Da allora, "Four Saints" non è propriamente divenuto un caposaldo del repertorio novecentesco. Nel 1996, alla Houston Grand Opera, il più astratto, luminoso, concettuale dei registi contemporanei, Bob Wilson, la mise in scena, in coproduzione con il Festival di Edinburgo. Paolo Pinamonti, quando era direttore artistico alla Fenice di Venezia, cominciò a "prepare for Saints"; ma se ne andò a dirigere il Teatro Sâo Carlos di Lisbona prima di andare in scena. Così, dal 22 al 27 febbraio, questa capitale europea così colta e civile ospita un specie di nuova prima europea di quest'opera così americana e spagnola e parigina. "Bob" è venuto a Lisbona, e ha rimesso su il suo spettacolo; dell'allestimento di Houston sono tornate le scene di luce e i costumi-giocattolo di Francesco Clemente, e i narratori-cantanti Cynthia Clarey e il sulfureo Wilbur Pauley; per Santa Teresa e il suo doppio e gli altri santi han cantato portoghesi: Dora Rodrigues, Ana Ester Neves e Luìs Rodrigues nelle prime parti. Uno messinscena leggera, perfetta (Thomson aveva conosciuto il giovane Wilson a New York mentre provava "Einstein on the Beach" di Philip Glass altro allievo della Boulanger - e voleva che fosse lui a fare "Four Saints" come si doveva, ma morì 92enne nel 1989 e non vide mai questo gioco gioioso), luminosa di una "opera" che come dice Wilson - "ha una geniale accessibilità, e celebra la gioia della vita".

Interpreti: D. Rodrigues, Neves, L. Rodrigues, Alves, Russo, Pauley, Clarey

Regia: Robert Wilson

Scene: Robert Wilson

Costumi: Francesco Clemente

Orchestra: Orquesta Sinfónica Portuguesa do Teatro Nacional de Sâo Carlos

Direttore: Jonathan Webb

Coro: Coro do Teatro Nacional de Sâo Carlos

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