Venti concerti per venti edizioni

Da Paolo Fresu a Carla Marcotulli, tutto Dolomiti Ski Jazz, il festival della Val di Fiemme

Foto Nicola Malaguti
Foto Nicola Malaguti
Recensione
jazz
Dolomiti Ski Jazz
10 Marzo 2017

Venti concerti per contrassegnare la ventesima edizione di Dolomiti Ski Jazz, la cui peculiarità consiste nel portare il jazz sulla neve a mezzogiorno nei rifugi d’alta quota, perseguendo anche obiettivi di promozione turistica del territorio (la sera, invece, di si sposta per gli appuntamenti serali in varie sale o club disseminati nella Val di Fiemme). Giostrando fra infuocate jam session e voci femminili, formazioni anomale e nomi consolidati, il direttore artistico, il batterista Enrico Tommasini, è riuscito a conciliare la diretta comunicativa delle proposte con la loro originalità. Talvolta, Tommasini è anche la mente di alcune produzioni del festival. È il caso del trio di Olivia Trummer, giovane pianista e cantante dal timbro morbido e avvolgente, nata a Stoccarda ma residente a Berlino, quando non si trasferisce nella prediletta New York. Appunto a Berlino Tommasini l’ha ascoltata per caso nell’estate 2016, e subito l’ha invitata in Italia mettendole al fianco due validi coetanei come Matteo Bortone e Nicola Angelucci. Al Palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme, a Cavalese, caposaldo della storia locale, gli original della pianista hanno rivelato un mondo espressivo prevalentemente romantico e sognante, improntato a un sereno ottimismo, che a tratti si è ravvivato in movenze insistite con evidenti riferimenti al pianismo jazz più classico, includendo linee ritorte nello stile di Mehldau. Altrettanto giovane il quintetto di Alessandro Presti, maturato come strumentista e come leader. Il suo jazz si è avvalso del drumming incombente e acuminato di Francesco Ciniglio, del pianismo carico di tensione di Alessandro Lanzoni, del fraseggio di Daniele Tittarelli, più evocativo e caldo che in altri contesti, del pizzicato nitidamente fiorito di Gabriele Evangelista. I brani del trombettista messinese, raramente dal tono misterioso, più spesso si sono esplicitati in linee solari e incalzanti di dichiarata impronta hard bop. Si è andati sul sicuro con Paolo Fresu, per la prima volta al Dolomiti Ski Jazz. Il duo con Dado Moroni non è dei suoi più abusati: la routine è stata pertanto scongiurata. I due hanno imbastito al momento un repertorio di temi prevalentemente noti (standard e canzoni di varie latitudini), partendo dai quali il personale pianismo di Moroni, tornito, armonicamente e dinamicamente ricco, ha fornito una base solida e insinuante al tempo stesso. Su di essa il trombettista sardo si è inserito con un canto rotondo e lirico, salvo impennarsi in lancinanti note strozzate sul registro acuto. Il loro incontro si è tutto svolto nel segno di una misura classica e di un’attenzione dialogante. Da segnalare ancora protagonisti italiani di lunga esperienza, come Andrea Pozza e Carla Marcotulli. La classe del pianista genovese, assecondato dai puntuali Lorenzo Conte al contrabbasso e Giancarlo Bianchetti alla batteria, ha dipanato un fraseggio che sembrava racchiudere tutte le variegate e swinganti sfumature del mainstream. Una classe stagionata, fatta di modulazioni confidenziali e di spunti teatrali, ha caratterizzato anche le interpretazioni della Marcotulli, anche lei alla sua prima presenza al festival. La cantante romana condivideva la leadership del quartetto con Dick Halligan, autore di tutti i brani e pianista delicatissimo e allusivo. La formazione, particolarmente equilibrata e coesa, era completata dai misuratissimi Marco Siniscalco al basso elettrico e Bruce Ditmas alla batteria. Internazionale era anche la composizione del quartetto Passport (Pietro Tonolo, Jorge Rossy, Marc Abrams, Joe Chambers), che è attivo da alcuni anni, anche se a fasi alterne. A Ziano di Fiemme ha affrontato temi poco battuti e hit ben note, mettendo in evidenza soprattutto il brioso gioco ritmico e timbrico avviato dai magistrali Rossy e Chambers, alternatisi al vibrafono e alla batteria. Rispetto alle edizioni passate gli appuntamenti sulla neve, per forza di cose accompagnati dal via vai del pubblico occasionale, sono risultati forse meno insoliti e sorprendenti. Allo Chalet Valbona, fra una riverberante psichedelia, ora evocativa ora più sostenuta, si è mosso il quintetto Soundfields della cantante di origine moenese Johanna Jellici, mentre al Rifugio Passo Feudo l’ammiccante colloquialità e il timing singolare della cantante svedese Emilia Martensson sono stati adeguatamente supportati dal sound disteso della tromba di Fulvio Sigurtà e della chitarra di Luca Boscagin. In due contesti diversi ha infine spiccato la spericolata verve comunicativa del sound balcanico del settetto “di confine” Radio Zastava… ma non si è trattato di una novità, in quanto già invitato nell’edizione 2016.

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