Chamoisic 3 | Jazz nordico e violino gitano

Chiude l'edizione numero 7 del festival, con il quartetto di Eivind Aarset e una produzione originale con Eva Slongo

Foto facebook.com/chamoisicfestival
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Recensione
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Chamoisic Chamois
07 Agosto 2016
La VII edizione di ChamoiSic, manifestazione a cura dell’Associazione Insieme a Chamois, con la direzione artistica di Giorgio Li Calzi, quest’anno ampliata di ulteriori eventi ed anticipazioni, si è chiusa con il concerto in esclusiva italiana del quartetto norvegese del chitarrista Eivind Aarset. Influenzato dal jazz rock davisiano, Aarset si è mosso con classe e mestiere in quei territori di confine, non più particolarmente scivolosi, sospesi tra il jazz e il rock. Lo ha fatto in un modo tipicamente nordico, rievocando “antichi” passaggi garbarekiani e soprattutto il gusto e lo stile (decisamente più cromatico, in realtà) di un Terje Ripdal. La musica del quartetto si è snodata spesso in modo avvincente, tambureggiante e spettacolare, grazie alla presenza di due batteristi d’eccezione (Wetle Holte ed Erland Dahlen) e all’energico piglio elettrico del leader e del bassista Audun Erlien, che hanno saputo trasformare un jazz rock d’ambiente (molto in stile ECM), dalle atmosfere lunari pazientemente costruite, in qualcosa di anche più sulfureo e aggressivo (per carità, la Rune Gramofon è rimasta lontana). Ma la tre giorni valdostana è stata per la verità definitivamente siglata dal terzo concerto in tre sere del gruppo stabile di questa edizione, guidato dalla superlativa violinista svizzera manouche Eva Slongo, accompagnata dall’ottimo Sandro Gibellini alla chitarra, Mauro Battisti al contrabbasso e Riccardo Ruggeri alla batteria (una produzione originale del festival). La Slongo, protagonista tra l’altro di una seguita masterclass ad Antey Saint-André, ha importanti trascorsi classici alle spalle (a Friburgo e Ginevra risiedono i Conservatori della sua formazione), ma è poi stata folgorata dalla musica improvvisata e in particolare dallo swing e dal jazz gitano, quello di Django Reinhardt e Stephane Grappelli, in seguito all’incontro con lo specializzato violinista francese Didier Lockwood. A Chamois hanno brillato la sua eleganza e discrezione, l’assoluta qualità tecnico espressiva delle sue articolate improvvisazioni, e l’innumerevole quantità di sfumature timbriche che ha saputo produrre con il suo violino.

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