Improvvisazioni senza confini

A Šmartno, in Slovenia, il Brda Contemporary Music Festival

Zlatko Kaučič
Zlatko Kaučič
Recensione
jazz
Brda Contemporary Music Festival Smartno
11 Settembre 2014
Quando si oltrepassa il confine c’è solo un cartello ad indicare che abbiano lasciato l’Italia e siamo entrati in Slovenia. Eppure, da queste parti sono stati versati fiumi di sangue per difendere o spostare quelle sbarre che definivano la terra “nostra” da quella “loro”. Ogni luogo ha scolpito nelle lapidi dedicate alle vittime del fascismo o nelle trincee che ancora feriscono le montagne e le colline intorno all’Isonzo, il ricordo di guerre e massacri. Se c’è qualcosa che invece punta ad unire anziché a dividere è la musica, in particolare quella improvvisata. Dall’11 al 13 Settembre si è svolta nel piccolo paese fortificato di Šmartno nel cuore della regione di Brda sul versante sloveno del Collio, la quarta edizione del Brda Contemporary Music Festival. Ideatore e direttore artistico della manifestazione è il percussionista Zlatko Kaučič, da sempre appassionato musicista, didatta e promotore culturale e infaticabile generatore di incontri transnazionali. La prima giornata ha visto un esperimento inedito ovvero la conduzione a due, Kaučič e il contrabassista Giovanni Maier, dell’Orchestra Senza Confini, formazione composta da improvvisatori sloveni e italiani nata proprio in questo festival. Il secondo giorno è stato contraddistinto da piccole formazioni. Dopo il solo del sassofonista Cene Resnik sul palco della raccolta e accogliente Casa della Cultura si è esibito il sassofonista isontino Flavio Brumat con i contrabbassisti Jost Drasler e Paolo Franceschinis. Brumat è un musicista che sfoggia al sax tenore un suono pastoso e una enfasi declamatoria che ricorda il free storico di marca coltraniana. Nato nel 1946 e attivo con le formazioni dell’avanguardia regionale, da Phophonix a DobiaLab Orchestra, ha proposto - grazie anche al prezioso lavoro dei due contrabbassisti - un free jazz aggiornato con gusto e fantasia. Un musicista che il Festival ha fatto bene a valorizzare e che meriterebbe ulteriori occasioni di esibirsi. La serata si è conclusa con il duo polacco Microkolektyw formato da Artur Majewsky, tromba, e Kuba Suchar, batteria. Entrambi fanno largo uso dell’elettronica e in particolare di basi a prevalenza ritmica sulle quali sovrappongono ulteriori stratificazioni o improvvisazioni. La musica che ne esce è una sorta di ambient-free che occhieggia neo-tribalisti urbani e memorie del Davis elettrico. Majewsky fa largo uso di soffi e suoni parassiti sulla scia delle ricerche sullo strumento ormai divenute un classico dell’avanguardia. Il terzo e ultimo giorno del Festival il momentaneo bel tempo ha concesso di poter svolgere le performance previste all’aperto nel pomeriggio, una banda giovanile e un’ensemble di percussioni africane, per poi concludere in serata il programma. Con il quintetto Kaca, Sraca in Lev Giovanni Maier propone proprie composizioni dove i temi,dal netto profilo melodico, sono diluiti in percorso sonoro che lascia ampio spazio a tutti musicisti. Il gruppo funziona secondo una concezione orizzontale, puntando al massimo del dialogo collettivo e della libertà individuale. Particolarmente interessante è il giovane batterista sloveno Marko Lasic, allievo di Kaučič dal quale ha mutuato uno stile scabro e un set percussivo non ortodosso. Oltre a lui il trombettista Gabriele Cancelli, il flautista Paolo Pascolo e il clarinettista Mimo Cogliandro. Sempre maiuscolo Maier, un fuoriclasse del suo strumento, in grado di cavare ogni tipo di suono dal contrabbasso e stupefacente per potenza ritmica, lucidità e creatività. Ma l’importanza di Maier non è solo e squisitamente nella sua bravura strumentale ma anche per il ruolo di catalizzatore di energie e valorizzazione dei nuovi talenti come dimostrano questa formazione e le sue produzioni discografiche con l’etichetta autoprodotta Palomar, dove deve guardare chi voglia saperne di più su quello che si agita nella scena improvvisativa del Friuli Venezia Giulia. Caratteristica del Festival è l’invito ad ogni edizione di un ospite che svolge un workshop oltre ad esibirsi insieme a Zlatko Kaučič. Dopo Evan Parker, Johannes Bauer e Ab Baars quest’anno è stata la volta del vocalist Phil Minton. Il musicista inglese, settantaquattro anni portati con insospettabile vigore, è uno dei maestri della ricerca sulle possibilità della voce. Si accomoda sul palco sedendosi su una sedia. Accanto a lui Kaučič ha sistemato alcune piccole percussioni e, su una cassetta della frutta verde (!), un’arpa da tavolo bavarese dell’ottocento. Allo strumento il musicista ha applicato un microfono e lo ha reso elettrificato. Quello che succede quando i due cominciano la loro performance è difficile da raccontare. Stupore, rapimento, estasi. Un susseguirsi di invenzioni in un dialogo fitto dove non c’è mai un’incertezza o calo di tensione. Minton e Kaučič producono suoni con una gestualità corporea totale. Pathos e ironia. L’arpa risuona come un arsenale di suoni elettronici percossa e sfiorata con ogni sorta di oggetti, la voce di Minton esplora ogni registro. Ogni oggetto e ogni respiro producono suono. Un fischio e rametti d’albero frantumati. Una esperienza di ascolto rara e illuminante. Un concerto memorabile salutato da un lunghissimo applauso del pubblico. Come ogni anno il finale della manifestazione prevede l’esibizione dei partecipanti al Workshop diretti dal maestro. In questo caso si è trattato del Feral Choir, ovvero un coro di improvvisazione vocale che Phil Minton sta sperimentando in giro per il mondo dalla fine degli anni Ottanta. Minton conduce i cantanti, non necessariamente professionisti, creando una suggestiva partitura istantanea. L’effetto è coinvolgente. L’energia che si attiva sul palco e tra il pubblico è travolgente. Anche quest’anno questo piccolo Festival ha saputo aprire una finestra di creatività di alto livello con risorse modeste ma tanta passione e idee. Merito di un ambiente bello e ancora genuino, di scelte artistiche coerenti e coraggiose e di una volontà che non si piega alle convenienze. Un festival prezioso.

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