Puccini?! Lasciamo perdere

Su Raiuno pessimo film tv sul compositore

Alessio Boni è stato "Puccini" su Raiuno
Alessio Boni è stato "Puccini" su Raiuno
Recensione
classica
Rai
01 Marzo 2009
Oggidì conta e va di moda solo il successo ad ogni costo: gli autori di "Puccini" (Raiuno, 5 milioni e 916 spettatori il 1° marzo 2009 in prima serata, 22,69% di share) ritraggono malamente un artista celeberrimo, appena un po’ inquieto e insicuro (lo era, e molto, come tutte le persone consapevoli del proprio ruolo) enfatizzandone la fortuna, specie in amore oltre che nella vita professionale (come se fare l’operista fosse lo stesso che guidare un’azienda). Idea banalissima quella di accostargli un ‘doppio’ (fra i tanti personaggi inventati e/o storpiati di questa vicenda), tal Ghigliozzi, malato di insuccesso. Si parte con il consueto, abusatissimo flash-back: nel 1924, anno della morte, Puccini si fa intervistare a Vienna da una giovane e graziosa giornalista (mai esistita) che poi gli si concede, ennesima preda di una vita costellata di avventure galanti. Peccato che, malato di cancro e da tempo diabetico, il compositore avesse allora ben altro a cui pensare – tanto che non mise affatto piede a Vienna. Licenza poetica, si dirà: ma le riprese ‘austro-ungariche’ vengono da Montecatini Terme, così come il lucchese Teatro del Giglio, asso pigliatutto, ospita nella ‘finzione’ svariate prime pucciniane. Fra esse una "Bohème" animata da un improbabile Toscanini, che esibisce un gesto totalmente inconciliabile con la professione di direttore d’orchestra e una pochezza umana del tutto incompatibile con la nobile figura di un musicista che ha onorato l’Italia. Preordinazione, o solo ignoranza? Che Puccini incontri Giulio Ricordi nel 1884, e si soffermi sul manifesto del "Falstaff" (1893) era certo una gag evitabile, così come far mettere sotto contratto dal principe degli editori italiani Giacosa e Illica fin da "Manon Lescaut", o un Leoncavallo inspiegabilmente padanizzato (era napoletano verace) al tempo della "Bohème". E via dicendo: questa pellicola propone un’immagine di Puccini (e dei suoi collaboratori) che ne offende l’autentica statura artistica e per di più gli affianca una moglie-consigliera attraente, Elvira, che nella realtà non era alla sua altezza e agiva come uno spietato carnefice (del tutto deformato l’episodio che riguarda Doria Manfredi, perseguita ingiustamente). Dadaistico il finale: il Toscanini-macchietta depone la bacchetta dopo «Nessun dorma!...» e sospende la première di "Turandot" (ot, non ò!), mentre Puccini si arrestò alla morte di Liù, nodo ben più problematico oltretutto dell’aria del tenore, sin troppo dominatrice dei palinsesti - fino alla discutibile apparizione a San Remo. Si è molto polemizzato sulla recente provocazione di Alessandro Baricco su "la Repubblica": lo Stato finanzi istruzione e tv e lasci i teatri al loro destino. Di fronte a prodotti desolanti come questa ‘finzione’ (recitazione e facce da soap-opera, livello basso davvero) la pochezza di questo invito emerge in tutta la sua insensatezza. Chiuderei con un invito pucciniano doc a Capitani: «Scherza coi fanti e lascia stare i santi»!

Note: Sceneggiatura: Francesco Scardamaglia, Nicola Lusardi, Fabio Campus; musiche: Don Marco Frisina

Interpreti: Alessio Boni (Puccini), Sophie Von Kessel (Elvira), Francesca Cavallin (Liza), Stefania Sandrelli (Albina), Lorenzo De Angelis (Michele), Giuseppe Santonastaso (Nicchi), Riccardo Polizzi Carbonelli (Geminiani), Pamela Saino (Doria Manfredi), Marco Petrini (Mascagni), Lorenzo Majnoni (Ponchielli), Serena Rossi (Cherie), Andrea Giordana (Giulio Ricordi), Franco Castellano (Toscanini), Sasa Vulicevic (Ghigliozzi), Massimiliano Buzzanca (Leoncavallo), Alberto Gemignani (Fontana), Attilio Fabiano (Marco Sala).

Regia: Giorgio Capitani

Scene: Cosimo Gomez

Costumi: Enrica Biscossi

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