Un Macbeth psicologico e (a torto) contestato

Secondo e ultimo allestimento operistico nel cartellone del Festival Verdi 2006, questa nuova produzione del Macbeth verdiano propone una lettura tesa alla perlustrazione della dimensione psicologica del dramma, emersa sia dal dato scenico sia da quello musicale. Messa in scena con qualche appesantimento nell'articolazione ma coerente con interpretazione musicale di Bartoletti. Eccessivamente contestata la Cavani.

Recensione
classica
Reggio Parma Festival Parma
Giuseppe Verdi
06 Giugno 2006
Secondo e ultimo allestimento operistico nel cartellone del Festival Verdi 2006, questa nuova produzione del Macbeth verdiano propone una lettura tesa alla perlustrazione della dimensione psicologica del dramma. Questa pare la direzione registica della Cavani, segnata da una decadenza che intride la cornice dell'impianto scenico, ambientato attorno al 1944, ricostruendo - grazie alle articolate scene di Dante Ferretti - un fatiscente teatro idealmente elisabettiano, dove gli spettatori sono assieme popolo e coro. Al centro della scena il "teatro" vero e proprio, lo spazio dove si consuma il dramma liberamente rievocato, nei personaggi e nell'epoca, dai costumi di Alberto Verso. Su questa linea anche l'aspetto "magico" si trasforma in "superstizione", con le streghe incarnate da lavandaie che giocano fin dall'inizio con la sete di potere del protagonista. Nel susseguirsi dei quadri - un poco pesanti i cambi di scena - lo spazio abitato dai personaggi rimanda a una dimensione asfittica, che ne evidenzia la loro deriva psicologica. Una lettura che elude i caratteri più sanguigni e demoniaci, dato che è emerso anche dall'interpretazione musicale proposta da Bartoletti: lontana da scontati effetti orrifici, più concentrata su un equilibrio timbrico dal quale emergeva l'effetto rabbrividente, glaciale quasi. Sul palcoscenico il clima si rivelava in linea con la lettura generale, a partire dal Macbeth di Leo Nucci, più attore che cantante per un personaggio che, al contrario della consorte, rimane lucido - tentennamenti iniziali e fredda rassegnazione finale compresi - fino alla fine. Meno nel personaggio si è dimostrata Sylvie Valayre. Tra gli altri, bene Enrico Iori nei panni di Banco e il coro, vero "terzo protagonista". Tra gli applausi, contestazioni eccessive alla regia.

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