Sonnambula, idillio inquietante

Amina sul divano dello psicanalista: la regia di Federico Tiezzi per la Sonnambula di Vincenzo Bellini al Comunale di Firenze, con Daniel Oren sul podio, trasfigura l'intera vicenda a sogno della fragile eroina, fra tocchi inquietanti alla Magritte e eleganze di fine Ottocento. Bella prova belcantistica per Eva Mei.

Recensione
classica
Teatro del Maggio Musicale Fiorentino Firenze
Vincenzo Bellini
25 Gennaio 2004
A dispetto dei dissensi ricevuti al suo nascere nel dicembre 2000, questa "Sonnambula" è una delle regie più meditate di Federico Tiezzi: la sua ripresa è passata via liscia, ma il consenso tributato alla serata è stato non più che cortese. Sul podio Daniel Oren tentava di imprimere una lettura personale e nelle intenzioni "romantica", in cui però le oscillazioni di ritmo e di respiro insite nel canone belcantistico si amplificavano in estenuazioni francamente eccessive, in rallentando e richieste di pianissimo alle soglie dello sfinimento, in recitativi assai poco scorrevoli e in perigliose fluttuazioni del gesto direttoriale che hanno finito per innervosire alquanto palcoscenico, coro e orchestra. Non che si pretenda una "Sonnambula" tesa e "drammatica", per carità: non avrebbe senso e sarebbe del tutto estranea questa messinscena. Nelle scene di Pier Paolo Bisleri con i bei costumi fine Ottocento di Gabriella Pescucci, tra inquietanti atmosfere alla Magritte e romantici sfondi montani memori della pittura ottocentesca alla Caspar Friedrich, Tiezzi coglie l'intima essenza della partitura come diagramma di segni lievi che delineano affetti, speranze (la promessa nuziale su cui scende un ingenuo festone di luci), sofferenze, reminiscenze: la sua Sonnambula è una gentile internata che sogna l'intera vicenda e intorno a cui, nel finale, si serrano le pareti di marmo di una clinica di lusso di inizio secolo. Bellissime tutte e due le scene di sonnambulismo, la prima approdante al divano di un conte Rodolfo psicanalista più che feudatario, la seconda sospesa su un'inquietante passerella di ferro; attente le geometrie in cui si disponevano coro e personaggi e i gesti improntati ad una stilizzazione astratta e metafisica (forse anche troppo per il fresco acquerello belliniano). Per questa Amina, Eva Mei aveva da spendere la sua scienza belcantistica, i suoi acuti puri e luminosi, il suo modo spontaneamente elegante e incisivo di campeggiare sulla scena, fino alla grande scena finale dell'"Ah, non credea mirarti"; José Bros, perdonati gli acuti petulanti, era un Elvino sicuro e partecipe; forse un poi' ruvido Giacomo Prestia per l'aristocratico Rodolfo; ottime vocalmente e insolitamente interessanti in questa regia la Lisa e la Teresa di Gemma Bertagnolli e Nicoletta Curiel.

Interpreti: Il Conte Rodolfo: Giacomo Prestia/Carlo Cigni/Chester Patton; Teresa, Nicoletta Curiel; Amina, Eva Mei/Mariola Cantarero; Elvino, JosÈ Bros/Shalva Mukeria; Lisa, Gemma Bertagnolli/Anna Chierichetti; Alessio, Enrico Turco; Un notaro, Saverio Bambi

Regia: Federico Tiezzi

Scene: Pier Paolo Bisleri

Costumi: Gabriella Pescucci

Orchestra: Orchestra del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino

Direttore: Daniel Oren

Maestro Coro: Coro del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino

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