La Nina prima di Paisiello

Il coraggio di tentare le strade più difficili premiato da un pubblico fortemente motivato

Recensione
classica
Notti Malatestiane Cattolica
Nicolas-Marie Dalayrac
31 Agosto 2002
L'opera italiana, per statuto costitutivo, è una forma di spettacolo dove tutto viene detto attraverso il canto. Non così, com'è noto, nel Singspiel tedesco, nella zarzuela spagnola, nell'opéra-comique francese e in altre espressioni teatrali assimilabili, che vedono l'apporto della recitazione parlata in proporzioni più o meno spiccate. Le eccezioni al canto totalizzante non mancano in terra italiana, ma sono appunto delle eccezioni. Fra queste, si segnala nella storia della musica un esperimento culturale compiuto a più riprese negli anni '80 del Settecento fra le mura del Teatro Arciducale di Monza, ad opera di quel fine letterato ed organizzatore teatrale che fu Giuseppe Carpani: l'obiettivo era quello d'importare in Italia i più celebri opéra-comique francesi in traduzione, conservandone la struttura ibrida originale. Fra i vari titoli, fu scelta nel 1788 "Nina ou La folle par amour", che da due anni riscuoteva successi incondizionati a Parigi e nel resto d'Europa; tale fu l'impatto anche in Italia da indurre Paisiello a rimettere più tardi egli stesso in musica il libretto tradotto dal Carpani, offuscando l'originaria intonazione di Dalayrac. Il festival Notti Malatestiane ha scelto quest'anno come sua manifestazione conclusiva di riproporre quella partitura dimenticata: un'iniziativa di particolare interesse, che ha richiamato a Cattolica, sulla riviera romagnola, un gran numero di spettatori attratti dall'insolito evento. Ricostruita la musica sulla base dei manoscritti d'epoca, qualche ritocco alla traduzione di Carpani, uno stuolo di giovani in scena e nella buca d'orchestra, ed ecco uno spettacolo intelligente ma di poca spesa. L'assoluta preponderanza del testo parlato riduce le dieci pagine musicali a una sorta di "musica di scena" di corredo al dramma; le musiche di Dalayrac non vanno del resto molto oltre una bucolica gradevolezza, per quante cure vi possa aver infuso Manlio Benzi (direttore artistico del festival) a capo di un'orchestra di "strumenti antichi". L'attenzione dello spettatore si trova inevitabilmente tutta proiettata sul piano della recitazione parlata. E qui sta il limite maggiore di questa come di analoghe iniziative in lingua italiana (operetta compresa): la difficoltà di reperire attori nostrani in grado di sostenere anche parti musicali, ovvero cantanti padroni delle basilari tecniche di recitazione. Anche i nostri cinque giovani interpreti hanno dovuto destreggiarsi fra queste difficoltà, con maggiore o minore consapevolezza, secondo i casi. Svettavano sugli altri i protagonisti Andrea Giovannini (attore di formazione; ma da tener d'occhio i suoi futuri cimenti tenorili) e Nicoletta Maragno (vera attrice cantante) nei panni della ragazza impazzita. Su di lei, il regista Roberto Recchia ha puntato tutta l'attenzione, costruendole attorno una sorta di voliera che il mondo esterno contempla attonito, e che si dissolverà immancabilmente al giungere del lieto fine. Grande successo per tutti, a riprova del favore di pubblico che anche simili riesumazioni archeologiche possono guadagnarsi. Il rammarico è che, come troppe volte in questi casi, tanti sforzi debbano ridursi ad un'unica, isolata rappresentazione, mentre i palcoscenici dei nostri teatri minori restano perlopiù vuoti: è davvero così difficile abbandonare gretti campanilismi e far circuitare spettacoli simili?

Note: prima esecuzione assoluta in tempi moderni a cura di Emilio Sala. Edizione critica della partitura di Davide Daolmi

Interpreti: Nicoletta Maragno, Laura Catrani, Andrea Giovannini, Danilo Formaggia, Enrico Marabelli

Regia: Roberto Recchia

Scene: Anusc Castiglioni

Costumi: Giulia Bonaldi

Orchestra: Orchestra del Festival

Direttore: Manlio Benzi

Coro: Coro del Festival

Maestro Coro: Roberto Parmeggiani

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