Una Cenerentola di classe

La direzione di Evelino Pidó esalta l'intelligenza musicale di un cast di rossiniani doc.

Recensione
classica
Royal Opera House (ROH) Londra
Gioachino Rossini
08 Gennaio 2003
Jacopo Ferretti, il librettista di Cenerentola, ha tramandato un resoconto probabilmente fantasioso della stesura dell'opera, scritta in due settimane, il cui soggetto sarebbe stato deciso dopo la mezzanotte della vigilia di Natale dell'anno 1816, la stessa notte in cui, accettando una scommessa del compositore, avrebbe steso il primo schizzo del libretto. Se ciò corrisponda o meno a verità forse non è rilevante, se non per giustificare i limiti letterari del testo, ma sta di fatto che nell'accettare il soggetto di Cendrillon, ispirato alla favola di Perrault, il razionale Rossini pose come condizione l'eliminazione di ogni elemento fantastico: niente fate madrine, zucche o rintocchi di mezzanotte, si rimane strettamente nell'ambito della tradizione dell'opera buffa, per quanto con un tocco di favola morale. Ecco quindi apparire la figura di Alidoro, il saggio tutore che sembra architettare e controllare tutta la vicenda. Ed ecco Don Magnifico, primo basso buffo, assumere maggiore importanza: è il suo disperato desiderio di innalzarsi agli onori del trono, insieme al malcelato disprezzo per l'umile condizione a cui ha ridotto Angelina, 'servaccia ignorantissima', e a cui senza dubbio teme di essere presto ridotto egli stesso, che conferisce al lavoro un elemento di critica sociale. Il conflitto di classe inerente alla vicenda è la chiave di lettura scelta da Moshe Leiser e Patrice Caurier, che riambientano il lavoro in una immaginaria Italia degli anni Cinquanta: il principe diventa quindi un protagonista della cronaca rosa, con tanto di corteggio di paparazzi, e l'apparizione finale di Cenerentola sembra l'arrivo di una star cinematografica. Al di là di un tocco di colore, questa rivisitazione non aggiunge nulla al lavoro, e lo spettacolo, che si avvale di un ensemble di prima grandezza, si regge interamente sul talento individuale degli interpreti. Innanzitutto il direttore, Evelino Pidó, che fin dalle prime battute dell'ouverture rivela una profonda comprensione della retorica rossiniana, e che controlla con grande sensibilità l'orchestra della Royal Opera House, in alcuni momenti ridotta ad un sospiro, lasciando ai cantanti grandissima libertà dinamica e ritmica. Juan Diego Florez è più che a suo agio nei panni di Don Ramiro, e si dimostra ancora una volta interprete rossiniano ideale: la voce sta maturando, e la considerevole agilità e padronanza della tessitura è adesso accompagnata da un timbro più corposo e caldo. Simone Alaimo è eccellente nei difficili panni di Don Magnifico, di cui padroneggia con grande musicalità l'impossibile scrittura vocale, e costituisce con il Dandini di Alessandro Corbelli un duo comico irresistibile, in particolare nel duetto del secondo atto. Lorenzo Regazzo è un Alidoro imponente, e tra le due sorellastre emerge per comicità Leah-Marian Jones, irrefrenabile nei panni di una Tisbe particolarmente sfortunata. Vesselina Kasarova forse esaspera con un vena di tragicità l'aspetto malinconico inerente al carattere di Angelina, e non sembra naturalmente incline ad un ruolo fondamentalmente comico, ma grazie ad una considerevole intelligenza musicale riesce a porre in rilievo momenti inusuali della partitura, e domina con grande tecnica vocale la scena finale, che diventa un vero e proprio trionfo.

Interpreti: Juan Diego FlorezVesselina KasarovaLorenzo RegazzoMarian JonesAlessandro CorbelliSimone Alaimo

Regia: Moshe Leiser e Patrice Caurier

Orchestra: Orchestra della Royal Opera House

Direttore: Evelino Pidó

Coro: Coro della Royal Opera House

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