Un tormentato re di oggi

Due quartetti sulle rive della Loira

Recensione
classica
Théatre d'Orléans
14 Aprile 2011
Cose insospettabili accadono ad Orléans, placida città di provincia, con un Théâtre National che pullula di attività: il 14 aprile è andato in scena "Lear, a King" di François Sarhan (1972), su libretto di Jacques Roubaud: per la prima volta presente in sala, il poeta ha fatto un sapiente lavoro di riduzione, pur mantenendo l´originale in inglese; è intervenuto sull´accentazione, rendendo il precipitare nella follia con l´introduzione di asimmetrie nel verso shakesperiano. Il nuovo titolo sottolinea l´isolamento di Lear, rendendolo al tempo stesso un tiranno come ancora ce ne sono per il mondo. Lo spazio scenico è utilizzato in modo polivalente: Sarhan, che ha curato regia, video e animazioni, mette i musicisti in scena, li fa muovere, reagire e commentare l´azione con risa e quant´altro. Fanno da ponte tra i due quartetti le bravissime Saunier e Verbinnen, che non fanno danza ma messa in scena del corpo, affiancando musicisti e attori, facendone a volte il doppio (mettendosi letteralmente nei loro panni, prestando loro un´altra testa o altre braccia) o facendoli salire e scendere da sedie e panche. Talvolta circondano il cantante (capita al bravissimo tenore Tore Sunesson, nei ruoli di Kent, Edmund e Goneril en travesti), spintonandolo e mettendogli le mani sulla bocca, con un interessante risultato vocale; le tensioni e le violenze del testo sono agite e mimate efficacemente, senza però mai passare il segno: memorabile il maltrattamento di Lear, in una scena muta in cui Matts Johansson (baritono), disteso a terra, viene sbattuto e trascinato dal suo torturatore, afferrato per la testa che si immagina spinta sott´acqua, attuale riferimento alle violenze delle ultime guerre. L´accecamento di Gloucester viene mimato in modo analogo: impersonato dal violista del quartetto, il bravissimo Franck Chevalier che, in un solo ad alta tensione, viene fatto montare su una sedia e afferrato da Kent che gli cava gli occhi; il corpo si piega e si torce e la narratrice riprende il suo racconto. Ruolo essenziale quello di Saunier (ottima attrice e coreografa), che lega le brevi scene raccontando in francese quello che non ha trovato spazio in un´ora e mezza di spettacolo. Il trattamento della voce è vario, talvolta ludico ma senza forzature. Tutto è molto essenziale e efficace, nello spirito del libretto, che condensa in modo estremo senza ridurre. Vera opera da camera, i due quartetti e il bravo percussionista Miquel Bernat interagiscono senza direttore. Emozionante il concerto del Quatuor Diotima, che il 15 ha spaziato dal Schubert adolescente e già tormentato del Quartetto n.2 (reso con sonorità delicatissime) al primo Schönberg atonale dell´op.10: ancora Sarhan, con Bobok (2002), che sembrava scritto per loro, e il nuovo Lucy B, con la voce timbrata di Rayanne Dupuis, ironico ritratto di donna, di cui sono spietatamente spiati i momenti della giornata e della settimana. Bobok contiene già tutto il mondo di Sarhan, dai lati ludici e parodistici a quelli più oscuri, uno stile caratterizzato dalla rapidità del montaggio (non a caso si cimenta nel cinema di animazione, complice William Kentridge). Bellissimo Schönberg, di cui i Diotima danno un´interpretazione ricca di luci ed ombre, ad alta temperatura emotiva.

Interpreti: Vox Vocal Quartet Quatuor Diotima Percussioni Miquel Bernat Voce recitante/coreografa Johanne Saunier Danzatrici Johanne Saunier, Julie Verbinnen

Regia: François Sarhan

Scene: Jim Clayburgh

Coreografo: Johanne Saunier

Luci: Jim Clayburgh

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