Teatri contemporanei a Venezia

Alla Biennale Musica due serate con l’Hanatsu Miroir e tre creazioni della Biennale College 

Hanatsu Miroir, Biennale Venezia
Hanatsu Miroir
Recensione
classica
Venezia
Biennale Musica
29 Settembre 2017 - 08 Ottobre 2017

Prima del finale La Biennale Musica 2017 dedicata a Est! prosegue l’esplorazione dell’Occidente musicale con alcune saggi di teatro musicale, fra cui tre lavori inediti prodotti nell’ambito del progetto formativo di Biennale College. In due serate, lo strasburghese ensemble Hanatsu Miroir porta in prima italiana alcune fra le sue più recenti creazioni, due delle quali realizzate in collaborazione con il tarantino Maurilio Cacciatore. L’ensemble nasce nel 2010 a Strasburgo dall’incontro fra la flautista Ayako Okubo e il percussionista Olivier Maurel con la volontà di sviluppare e far conoscere un repertorio di composizioni contemporanee a un vasto pubblico, anche attraverso attività pedagogiche in Alsazia nell’ambito dei progetti Erasmus+ e Musikkreativ+. Giovane realtà di frontiera, il gruppo strasburghese ha al suo attivo già numerose collaborazioni con compositori come il franco-iraniano Alireza Farhang, il canadese Samuel Andreyev, i giapponesi Shogo Sakai e Chikage Imai, la brasiliana Januibe Tejera, il greco Stratis Minakakis e gli italiani Gualtiero Dazzi e, appunto, Maurilio Cacciatore, del quale porta negli spazi dell’Arsenale La vallée des merveilles (2016) e Lost in feedback (2014), quest’ultima preceduta dalla prima assoluta del pezzo commissionato dalla Biennale Howling / Whirling (2017) di Kenji Sakai.

Prodotto casuale di un’esperienza didattica di Cacciatore al Conservatorio di Cuneo, La vallée des merveilles nasce dalla suggestione di un luogo di frontiera come la Valle delle Meraviglie presso Tenda, francese, quindi italiana e poi di nuovo francese, ma in fondo terra di nessuno e per questo storicamente luogo abitato da streghe e da briganti. I racconti delle leggende di quei luoghi rivivono in un libro di Jacques Drouin dal quale prendono ispirazione i testi assemblati da Sébastien Hoffman (letti nella versione italiana da Alessandra Giacomello e dallo stesso Hoffman) dalla natura sfuggente come in fondo questo lavoro che, nonostante la definizione ufficiale di “opera da camera”, incorpora l’idea della frontiera in una natura indefinibile al confine fra generi diversi. Gli interventi musicali di Cacciatore prevedono lunghi assoli del clarinetto (Thomas Monod), del flauto (Ayako Okubo) e soprattutto delle percussioni (Olivier Maurel) ma soprattutto dell’elettronica ad accompagnamento della performance/pantomima di due danzatori attori (Yon Costes e Noëllie Poulain, anche coreografa) che incorporano una sorta di spirito della terra, di quella terra e delle sue tensioni. La parte visiva, curata da Marie-Anne Bacquet per le scene e i video e Raphaël Siefert per le luci, assembla materiali e stimoli visivi eccessivi che finiscono per sottrarre, più che aggiungere, suggestione alla natura indefinita dell’oggetto della narrazione. Troppi ingredienti finiscono per appensantire inutilmente la pietanza.

Più parco di mezzi l’altro lavoro presentato dal gruppo francese, Lost in feedback, in cui Cacciatore fa ricorso a suoni e mezzi della musica techno. Il gioco è qui fra il percussionista Olivier Maurel, virtuosisticamente impegnato a produrre suoni da una molteplicità di fonti sonore elaborate in tempo reale dalla live electronic. Accanto a lui si esibisce un danzatore-performer (Yon Costes) fra giochi di luce e videoproiezioni live, che traducono in immagini il processo di elaborazione dei suoni. Più che proporsi come un’opera compiuta, il lavoro si distingue per un sincretismo sperimentale, dal quale è difficile immaginare una direzione e meno ancora un esito, soprattutto a livello di espressione musicale. Essenzialmente strumentale, anche se animato da giochi di luce minimal, il pezzo Howling/Whirling di Kenji Sakai è un interessante esercizio molto orientale sullo yin e yang in musica nella combinazione e conciliazione delle tessiture estreme dei flauti (Ayako Okubo) e dei clarinetti (Thomas Monod) dai limiti dello spettro sonoro attorno al punto di equilibrio delle percussioni.

A conclusione del percorso della Biennale College, sulla scena del Teatro Piccolo Arsenale venivano proposti tre atti unici, realizzati da giovani team creativi sotto la guida di Umberto Fiori, Antoine Gindt e Alessandro Solbiati. La stessa barca, con musica di Raffaele Sargenti e testo dello stesso Sargenti e Antonello Pocetti, vive dell’attualità degli sbarchi dei disperati in fuga da teatri di guerra e miseria. Precarietà esistenziale, paura, morte e soprattutto speranza incarnate in un navigatore dell’incerto (il baritono Markos Trittas Kleovoulou) e due presenze (il soprano Licia Piermatteo e il mezzosoprano Elisa Bonazzi), testimoni e entità narranti. Dramma esistenziale racchiuso fra una fredda elencazione di cifre, narrato con un linguaggio, anche musicale, essenziale e asciutto come l’allestimento firmato da Antonello Pocetti.

Essenzialità che manca in Apnea, notte trasfigurata di un’aspirante suicida fra fantasmi e deliri ingigantiti come ombre cinesi su una grande tela bianca. Nuocciono all’incisività drammatica del lavoro il velleitario testo di Alice Lutrario, che annaspa fra formule di ampollosa poeticità, e un linguaggio musicale tanto elaborato quando anodino. Fra Kagel e Pirandello il terzo dei lavori in programma Orpheus Moments che nel programma promette una nuova interpretazione del mito di Orfeo e invece si apre con un (falso) annuncio del team creativo dell’annullamento causa incidente del protagonista e (falso) rinfresco sostitutivo generosamente offerto dalla Biennale.

Partendo da un’ipotesi di ricostruzione dell’incidente di scena, il team conduce un’operazione di metateatro deviando dal tema promesso con il coinvolgimento degli interpreti (la soprano Julia Mihály, il controtenore Michael Taylor, il tenore “miracolato” Pablo Bottinelli e il basso “macchinista” Timotheus Maas) e smontando pezzo a pezzo il meccanismo teatrale. L’idea certo non è nuova ma è condotta con giovanile sfrontatezza che conferisce una certa divertita freschezza a quest’operina, definita “seriamente un’opera buffa”, orchestrata dalla regista Friederike Blum, dal librettista Tassilo Tesche e dal compositore Ole Hübner, che di suo aggiunge una musica “seriamente seriosa”. Per tutti e tre i lavori, l’accompagnamento musicale è assicurato dalla competenza degli strumentisti dell’Ex Novo Ensemble diretti da Filippo Perocco, che ha il merito di prendere molto sul serio i lavori dei tre giovanissimi compositori, mentre Giovanni Reale di Tempo Reale coordina l’informatica musicale. Sala gremita, molto interesse ma nessun rinfresco alla fine della serata.

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