Sogni e Incubi dell'Imperatrice
Ottima Frau ohne Schatten alla Scala diretta da Marc Albrecht
Recensione
classica
Dopo l'edizione kabuki di Ponnelle (diretta da Sawallisch nel 1986 e nel 1999 da Sinopoli) Die Frau ohne Schatten torna alla Scala in una smagliante coproduzione col Covent Garden surreal-patologica. Sul podio Marc Albrecht (in sostituzione dell'indisposto Bychkov), una felicissima sorpresa, Albrecht è un trascinatore capace di misurare ogni effetto, sempre attento a dettagli ed equilibrii. C'è da augurarsi che questo suo fortunato debutto alla sala del Piermarini possa avere un seguito e diventare presenza abituale. Raramente si è sentita l'orchestra scaligera così duttile e scattante, una vera gioia. Ottimo il cast, tutti autorevoli di voce, controllatissimi ed eleganti in scena. Mai un gesto "da cantante", merito del regista Claus Guth che alla féerie orientalista ha privilegiato il coté psicoanalitico, meglio dire psicotico, materializzando i sogni della principessa, probabilmente rinchiusa in una clinica per alienati. La sua stanza, arredata in stile Secession, ha una finestra che si apre come per magia su un universo onirico popolato da animali antropomorfi, il falcone, la cerbiatta, il padre in veste di cervo (una primizia nella storia della regia di quest'opera), degni di un incubo dipinto da Fussli, coreograficamente attivi specie durante gli intermezzi sinfonici. Tutto lascia pensare che alla fine la poveretta non uscirà mai di lì. A sostenere la carellata visionaria ci sono proiezioni, ora astratte ora meticolosamente evocative, squarci nel fondale da dove s'intravedono rocce ferrigne, soprattutto un calibratissimo gioco dei "doppi": l'imperatrice e la donna, l'imperatrice e la cerbiatta, l'imperatrice e la voce dall'alto, qui in carne e ossa, identica a lei. Indimenticabili i momenti, specie nel primo atto, durante i quali la protagonista si avvicina alla coppia degli umani, vorrebbe quasi accarezzarli, farli suoi, ma sempre timorosa del contatto fisico.
Calorosissima accoglienza a fine serata per tutti i cantanti, speciali ovazioni per il direttore (anticipate da una superflua e fastidiosa claque dal loggione ad ogni atto), e alcuni francamente incomprensibili buu all'apparire del regista.
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