Schumann prosegue con Marc Albrecht

Per un malore Gatti rinuncia al secondo concerto dell'integrale sinfonica di Schumann

Recensione
classica
Accademia di Santa Cecilia Roma
21 Marzo 2016
Negli ultimi tempi l'Accademia di Santa Cecilia non ha la fortuna dalla sua: in meno di un mese questa è infatti la terza volta che si trova a dover rimpiazzare in gran fretta un direttore costretto a dare forfait per motivi di salute. Tutte e tre le volte ha trovato un sostituto di qualità, questa volta ancor più che le precedenti due, eppure è proprio questa volta che il disappunto è stato maggiore, perché è rimasto incompiuto il ciclo delle Sinfonie di Schumann iniziato la settimana scorsa da Daniele Gatti in modo molto più che promettente. Nel primo concerto il direttore milanese aveva mostrato come la Prima e la Terza delle Sinfonie del compositore tedesco appartengano a mondi apparentemente simili ma in realtà profondamente diversi e ora si sarebbe voluto ascoltare in quale nuova luce sarebbero apparse la Seconda e la Quarta. Quest'interesse è restato inappagato. Lo si dice senza voler togliere nulla al sostituto, che era Mar Albrecht, cioè una delle migliori bacchette tedesche della generazione dei cinquantenni. Il suo è stato infatti un bellissimo concerto, ma non poteva essere una rilettura completa e approfondita delle sinfonie di Schumann. Ci immaginiamo la scena: Albrecht viene contatto all'ultimo momento e prende il primo aereo per Roma. In volo ripassa le partiture che sicuramente ha già diretto, ma chissà quando, e appena atterrato un'automobile lo preleva e lo porta alle prove, probabilmente senza nemmeno il tempo di passare in albergo. È un miracolo che ci abbia donato un bellissimo concerto, ma in queste condizioni non si potevano pretendere chissà quali rivelazioni a proposito dello Schumann sinfonico. Al contrario di quel che aveva fatto Gatti una settimana prima, Albrecht ha sottolineato l'appartenenza a uno stesso mondo della Seconda Sinfonia, formalmente la più vicina ai modelli classici, e della Quarte, che è invece quella che esibisce le soluzioni più proiettate verso il futuro. Anche quest'approccio è perfettamente legittimo, perché alla base di queste quattro Sinfonie c'è pur sempre una stessa personalità. Ma l'idea di Gatti - se l'abbiamo capita bene - di dimostrare che ogni Sinfonia indicava strade e mondi diversi era straordinariamente interessante e il fatto che sia rimasta incompiuta è una perdita cui ci si rassegna a fatica. Detto questo, Albrecht ha diretto in modo fiammeggiante ed impetuosamente romantico queste due Sinfonie. Esecuzioni travolgenti, non soltanto per i tempi molto serrati ma anche perché percorse da un fuoco sempre rinnovato, da improvvise accensioni fantastiche e dall'accavallarsi impetuoso di atmosfere diverse. Irresistibili i crescendo e gli accelerando con cui ha portato al calor bianco i momenti culminanti. Impeccabili ma meno trascinanti i movimenti lenti. Tra le due Sinfonie un'altrettanto bella esecuzione il Canto del Destino di Brahms. E qui è il momento di tributare un meritatissimo omaggio all'orchestra, che ormai ci ha talmente abituato a queste prove magnifiche che talvolta quasi ci si dimentica di ringraziarla.

Orchestra: Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Direttore: Marc Albrecht

Coro: Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Maestro Coro: Ciro Visco

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