Rossini da compositore a protagonista in scena

Prima assoluta dell'opera di Vittorio Montalti allo Sperimentale di Spoleto

Recensione
classica
Teatro Lirico Sperimentale "A.Belli" Spoleto
Vittorio Montalti
11 Settembre 2016
Un'opera su Rossini, per di più col titolo sbarazzino di "Ehi Giò", potrebbe predisporre l'ascoltatore a farsi delle belle risate. No, non è così. O invece sì, è proprio così. Infatti il librettista Giuliano Compagno e il compositore Vittorio Montalti toccano con leggerezza non disgiunta dall'acutezza gli aspetti contrastanti che albergavano nel compositore del "Barbiere". Rossini infatti è colto negli anni del suo ritiro dalle scene, anni dunque di disillusione, di stanchezza, di depressione. Ma anche in quegli anni non aveva perso la sua attitudine ai minuti piaceri della vita, in particolare al buon cibo, e continuava a guardare il mondo con distacco ironico, che però era probabilmente una corazza difensiva. Gli autori stessi riconoscono che forse danno di Rossini un ritratto troppo sbrigativo, ma questa è una breve opera, non uno studio monografico esaustivo, quindi il loro è proprio l'approccio che ci vuole. Il protagonista è interpretato dal bravissimo e somigliantissimo Emanuele Salce, un attore, perché in quest'opera Rossini parla: come si potrebbe avere l'ardire di farlo cantare? Se ne sta in alto, in un piccolo soppalco, sdraiato su un letto en berceau. I tre cantanti stanno in un mondo diverso, in basso: sono in abiti moderni e vivono in un magazzino teatrale tra vecchi abiti e polverosi attrezzi di scena, ma entrano nei pensieri di Gioachino, dando di volta in volta voce alla madre, alla moglie Olympe, a un critico e a tutta una serie di altri personaggi. Il loro canto è fatto ora di sillabe spezzettate come nella musica di avanguardia di qualche decennio fa, ora di melodie postpucciniane, ora di vorticosi sillabati come nei più folli concertati rossiniani. Ma, accennando ogni volta a quei modelli con molta libertà, Montalti sfugge alle gabbie in cui il canto resta spesso imprigionato nelle opere moderne. Il giovane compositore non è meno abile nell'uso degli strumenti, che talvolta producono suoni che si mescolano e si confondono con quelli elettronici e talvolta sono impiegati in modo più tradizionale. La grande padronanza nell'uso dei ferri del mestiere e il sicuro senso teatrale, oltre naturalmente alla freschezza d'idee della giovinezza, sono gli ingredienti di un'opera riuscita benissimo, con il solo limite di rimanere un'opera che parla del mondo dell'opera, rischiando così di apparire un po' claustrofobica anche a chi quel mondo lo conosce e lo ama. Al successo hanno dato un contributo fondamentale la regia di Alessio Pizzech e le scene e i costumi di Davide Amadei: la messa in scena, di cui si è già data una sommaria descrizione, era al novanta per cento una loro idea, che prescindeva dalle indicazioni del libretto. Sotto l'attenta guida di Enrico Marocchini, agivano tre bravi e spigliati giovani cantanti - Sara Intagliata, Marco Rencinai e Salvatore Grigoli - e gli otto strumentisti dell'Ensemble dell'O.T.Li.S.

Interpreti: Federica Livi/Sara Intagliata, soprano; Marco Rencinai, tenore; Salvatore Grigoli/Alessandro Abis, basso; Emanuele Salce e Giuseppe Nitti, attori

Regia: Alessio Pizzech

Scene: Davide Amadei

Costumi: Davide Amadei

Orchestra: Ensemble strumentale dell'O.T.Li.S. - Orchestra del teatro Lirico Sperimentale

Direttore: Enrico Marocchini

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