Py racconta Poulenc

Arriva a Bologna Les dialogues des Carmélites nel collaudato allestimento del regista francese per il Théâtre des Champs-Elysées

​​​​​​​Les dialogues des Carmélites
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Recensione
classica
Teatro Comunale di Bologna
​​​​​​​Les dialogues des Carmélites
11 Marzo 2018 - 16 Marzo 2018

Nato nel 2013 per il parigino Théatre des Champs-Elysées, che l’ha riproposto in questa stagione nell’ambito di una tournée che ha toccato Bruxelles in dicembre e Caen a febbraio, approda al Teatro Comunale di Bologna per sole quattro recite l’allestimento di Olivier Py per Les dialogues des Carmélites di Francis Poulenc. Scelta sicuramente lodevole del teatro felsineo per l’opportunità piuttosto rara nel nostro paese, dove ha visto luce nel 1957 al Teatro alla Scala, di tornare su un lavoro di altissima fattura musicale e di sicura presa drammatica e di poterlo apprezzare pienamente grazie a una compagine musicale francofona di grande valore. Merito non ultimo è l’ottima fattura della produzione di Olivier Py con scene e costumi dell’inseparabile Pierre-André Weitz, uno degli spettacoli più convincenti fra gli ultimi firmati dalla coppia (ripreso per l’occasione da Daniel Izzo, assente il regista, con solo qualche intoppo nei movimenti degli elementi scenici). Evidentemente ispirato dal dolente misticismo del dramma di Bernanos, Py rinuncia a qualsiasi stravaganza e corriva provocazione e punta su una rappresentazione limpida e lineare che allude in più di un passaggio alla Passione di Cristo, come se nel martirio delle suore delle Carmelitane di Compiègne ordinato dalla Giustizia rivoluzionaria del 1794 rivivesse la tragica vicenda umana del Salvatore. Una parabola cristologica quella immaginata da Py, cui danno particolare vigore sia la mobilissima scatola lignea della scena (meravigliosamente illuminata dalle luci “scurissime” di Bertrand Killy) sia i costumi spogliati di ogni riferimento temporale. Momenti particolarmente forti la morte della priora De Croissy, che con un ribaltamento di prospettiva è inchiodata al suo capezzale (come Cristo sulla croce), o la ieratica processione delle Carmelitane verso un cielo stellato con soltanto un secco suono metallico di una lama a evocarne il martirio.

Ben rodata e con pochissime debolezze la compagnia di canto, con solo qualche sostituzione rispetto alle tappe precedenti, la più significativa quella di Hélène Guilmette, al posto di Patricia Petibon, molto incisiva nel descrivere i patologici tormenti della fragile Blanche de la Force. Si ritrovano invece Sandrine Piau, una Constance cesellata con elegiaca freschezza, Sylvie Brunet, che presta credibilmente corpo e voce alle ruvidezze della De Croissy, e la classe di una Sophie Koch perfetta nel misuratissimo e introverso ritratto dell’esaltata madre Marie. E torna anche il nobile e focoso Cavaliere de la Force di Stanilas de Barbeyrac e molti degli interpreti dei ruoli minori, tutti all’altezza con qualche sbavatura nella pallida Lidoine di Marie-Adeline Henry dall’emissione poco controllata.

Ama molto i contrasti il direttore Jérémie Rhorer, che firma un’esecuzione sicuramente efficace sul piano della presa drammatica ma talora squilibrata nel rapporto con la scena. Ricca di colori l’Orchestra del Comunale, ma con qualche inciampo nei non impeccabili ottoni.

Più di un vuoto in sala alla prima (ma aprire con un titolo come questo la domenica sera è davvero una sfida impossibile) ma la risposta è calorosa con chiamate e applausi ritmati.  

 

 

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