Madness sotto la pioggia, la serata perfetta

Dopo trentotto anni i Madness tornano a Torino, ma la voglia di divertirsi è rimasta immutata

madness
Recensione
pop
GruVillage, Grugliasco (TO)
Madness
20 Luglio 2018

Hey you, don’t watch that, watch this, this is the heavy heavy monster sound, the nuttiest sound around”: era il 1979 e trentanove anni dopo in più di duemila abbiamo risposto al richiamo del gruppo originario di Camden, quartiere nel nord di Londra. I Madness vennero a Torino una prima volta nell’ottobre del 1980: apertura coi Lambrettas, gruppo mod revival di Brighton, concerto tiratissimo dei Nutty Boys (il soprannome dei Madness) e carica della polizia dentro il catino del Palasport. Insomma, quando hai vent’anni, la serata perfetta.

I Madness sono il gruppo londinese per eccellenza, formatosi con altro nome nel 1976 e cresciuto ascoltando la musica portata dagli immigrati caraibici (ska, rocksteady e reggae), il pub rock e il northern soul, il mix classico del proletariato bianco delle periferie. E le storie delle periferie di quel periodo sono lo spunto per i testi delle loro canzoni: il pub, le case troppo affollate e rumorose, i rapporti turbolenti col vicinato, la vita di strada, le storie d’amore infelici, gli amici sempre presenti nel momento del bisogno, la voglia di divertirsi.

«I Madness vennero a Torino una prima volta nell’ottobre del 1980: apertura coi Lambrettas, concerto tiratissimo e carica della polizia dentro il catino del Palasport. Insomma, quando hai vent’anni, la serata perfetta».

E il divertimento è la costante dei concerti dei Madness: l’altra sera, sotto la pioggia puntualmente arrivata in concomitanza del concerto, la gente ha ballato, cantato, bevuto (eh sì…), come se stesse partecipando a una festa in compagnia di vecchi amici. Mi aspettavo un gruppo bollito e invece il tiro c’è ancora e allora giù a cantare “My Girl”, “Our House” e “Embarrassment”, a muovere passi di ska con “Baggy Trousers” e “Madness”, la canzone di Prince Buster che ha dato origine al nome del gruppo, a commuoversi con “It Must Be Love”, la preferita del pubblico femminile.

Il pubblico è zuppo d’acqua ma chi se frega, è il turno di “Chase The Devil”, il brano di Lee Perry portato al successo da Max Romeo, in una versione da pub con qualche pretesa, di quelli con annessa ballroom. I Madness sanno come intrattenere il pubblico e lo fanno con quell’umorismo britannico che ho sempre apprezzato, senza prendersi troppo sul serio e senza scivoloni volgari.

Anni fa la rivista Rolling Stone li definì “i Blues Brothers con l’accento inglese”: una cattiveria gratuita, smentita da una carriera di tutto rispetto e ricca di episodi musicali che negli anni Novanta hanno influenzato certo Britpop.

L’estate (anche se piovosa), gli amici, le birre, le canzoni: a distanza di trentotto anni i Madness regalano un’altra serata perfetta.

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