L'opera londinese di Verdi

La regia di Elijah Moshinsky, la direzione di Edward Downes ed un ottimo cast vocale non riescono a redimere quello che rimane un lavoro minore all'interno del canone verdiano

Recensione
classica
Royal Opera House (ROH) Londra
Giuseppe Verdi
30 Settembre 2002
Quando l'impresario londinese Benjamin Lumley propose a Verdi di scrivere un'opera per il Her Majesty's Theatre, il compositore scelse inizialmente come soggetto il Re Lear di Shakespeare, dramma che però non godeva di grande popolarità sui palcoscenici inglesi durante la metà dell'800. Verdi ripiegò su una idea tratta da Il corsaro di Byron, ma il sorgere di nuove difficoltà mise in dubbio il viaggio londinese, ed il progetto fu abbandonato. Nel frattempo, prima di dedicarsi alla composizione della successiva commissione, il Macbeth, il compositore aveva convinto Andrea Maffei, amico e uomo di lettere, a scrivere un libretto per lui. Nonostante non avesse mai scritto un libretto, che considerava un genere inferiore, Maffei aveva appena ultimato la traduzione del dramma Die Räuber di Schiller, e lo propose come soggetto a Verdi, che accettò con entusiasmo ed addiritura compose il primo atto senza una specifica commissione in vista. Quando Lumley, che non poteva lasciarsi scappare l'occasione di portare a Londra il nuovo astro sorgente dell'opera italiana, rinnovò la sua offerta, non fu difficile per Verdi imporre I masnadieri. La scelta tuttavia non si rivelò del tutto felice: la scena lirica non si presta facilmente alle dissertazioni di carattere filosofico che costituiscono l'essenza del dramma schilleriano, che nella riduzione di Maffei perde di impeto e sostanza. Il personaggio di Amalia rimane accessorio, ed il dramma, che sembra mancare di baricentro, risulta episodico nel suo sviluppo: nonostante alcune pagine di indisputabile bellezza, neanche Verdi sembra essere stato in grado di salvare il libretto di Maffei. La prima del lavoro, il 22 luglio 1847, in pompa magna e con tanto di presenza reale, fu un grande successo, ma principalmente grazie alla presenza del soprano svedese Jenny Lind, adorata dal pubblico inglese ed ammirata dalla regina Vittoria; Verdi, insoddisfatto, lasciò Londra prima della fine delle rappresentazioni. L'opera divenne abbastanza popolare in Italia, ma fu presto soppiantata dai successivi lavori, ed è difficile oggigiorno non guardare a I masnadieri come ad un lavoro minore nel canone verdiano. La presente produzione londinese, la prima al Covent Garden, era originata nel contesto del festival verdiano che in occasione del centenario della morte si proponeva di rappresentarne tutte le opere, ed era stata vista inizialmente al festival di Edinburgo durante il periodo di chiusura del teatro. Pensata per il nuovo palcoscenico, la regia abbastanza tradizionale di Elijah Moshinsky contrappone i due mondi di Carlo e Francesco, visti come due facce della stessa moneta, dividendo il palcoscenico tramite una parete trasparente che non li separa mai completamente, e lascia intravedere l'uno attraverso l'altro. Il Francesco di Dmitri Hvorostovsky, scuro, intenso, passionale nel suo odio per il fratello ed il padre, crudele senza mai risultare viscido, vocalmente ipnotico, domina la serata; Franco Farina è un Carlo tormentato e deciso allo stesso tempo, e trova sfumature di grande tenerezza nel duetto con il padre, un ineccepibile René Pape. Paula Delligatti affronta l'esigente ruolo di Amalia con sicurezza e leggerezza di tono, ma senza mai perdere in incisività, e non incontra difficoltà in una scrittura vocale che, pensata appositamente per Lind, si discosta dall'usuale modello verdiano e richiede grande agilità (non a caso il ruolo è stato inciso da Sutherland). Edward Downes, che in assenza di una edizione critica del lavoro aveva preparato da varie fonti la presente versione, dirige con consueta padronanza l'orchestra ed il coro della Royal Opera House. Ma neanche questo ottimo sforzo collettivo riesce a dissipare l'impressione di trovarsi di fronte ad un Verdi in tono minore, e che l'insoddisfazione che lo aveva spinto a lasciare Londra in fretta e furia non fosse solo dovuta all'ingrato clima inglese.

Note: nuovo all.

Interpreti: Rene Pape, Franco Farina, Dimitri Hvorostovsky, Paula Delligatti, Edgaras Montvidas, Eric Halvarson

Regia: Elijah Moshinsky

Scene: Paul Brown

Costumi: Paul Brown

Orchestra: Orchestra della Royal Opera House

Direttore: Edward Downes

Coro: Coro della Royal Opera House

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Successo per Beethoven trascritto da Liszt al Lucca Classica Music Festival

classica

Non una sorta di bambino prodigio ma un direttore d’orchestra già maturo, che sa quello che vuole e come ottenerlo

classica

Napoli: per il Maggio della Musica