L’America nelle vene di Dennis Russell Davies

Il direttore e pianista statunitense protagonista di un doppio appuntamento al Ravenna Festival

Ravenna Festival 2018 - Foto di Silvia Lelli
Foto di Silvia Lelli
Recensione
classica
Ravenna Festival
Dennis Russell Davies
16 Giugno 2018 - 17 Giugno 2018

Altra faccia della medaglia rappresentata dal tema portante dell’edizione 2018 del Ravenna Festival – vale a dire We Have a Dream, significativo riferimento a Martin Luther King – la sezione “Nelle vene dell’America” ha trovato, dopo la dimensione del teatro musicale offerto dalla messa in scena di Kiss Me, Kate, una sintomatica declinazione data della presenza di un protagonista della scena musicale statunitense come Dennis Russell Davies, impegnato lo scorso fine settimana nella doppia veste di direttore e di pianista.

Ravenna Festival 2018 - Foto di Silvia Lelli
Foto di Silvia Lelli

Un percorso in due tappe che ci ha permesso di condividere la visione musicale di Davies a partire dal programma compilato per la prima serata, ospitata al Palazzo Mauro de André, che ha compreso la Sinfonia n. 2 - The Age of Anxiety di Leonard Bernstein, proposta in occasione del 100 anni dalla nascita del direttore e compositore americano, e la Sinfonia n. 11 di Philip Glass, presentata in questa occasione in prima nazionale.

Ad affiancare Davies nella perlustrazione della partitura bernsteiniana – eseguita per la prima volta a Boston l’8 aprile 1949 con Serge Koussevitzky alla direzione e lo stesso Bernstein al piano – abbiamo trovato il pianoforte di Emanuele Arciuli, altro profondo conoscitore del repertorio statunitense novecentesco e contemporaneo, protagonista con il suo strumento di uno spazio rilevante del tessuto costruttivo di questa pagina. Ed è stato proprio l’equilibrio espresso dal dialogo tra il variegato discorso dispiegato dall’Orchestra Cherubini guidata da Davies da un lato e gli intarsi espressivi cesellati dagli interventi del pianista pugliese dall’altro, a rappresentare uno degli elementi più convincenti di questa lettura.

Ispirata al componimento omonimo datato 1948 del poeta di origine inglese Wystan H. Auden, il quale porta il significativo sottotitolo “A Baroque Eclogue”, la sinfonia di Bernstein non rappresenta una pedissequa trascrizione musicale del testo bensì un’ideale ed evocativa trasposizione la cui articolazione richiama la struttura della fonte originaria: The Prologue: Lento moderato, The Seven Ages: Variations 1-7, The Seven Stages: Variations 8-14, The Dirge: Largo, The Masque: Extremely Fast, The Epilogue: Adagio, Andante, Con moto.

Lungo le tappe rappresentate dalle diverse sezioni abbiamo così attraversato atmosfere che miscelavano leggerezza e spaesamento, attraverso una cifra musicale che univa rimandi alla tradizione sinfonica europea e sapori jazzistici, restituita dai sapidi interventi del pianoforte e dalla direzione precisa e misurata di Davies.

Un carattere, quest’ultimo, che il direttore ha confermato anche in occasione della lettura della sinfonia di Glass, partitura presentata in prima assoluta il 31 gennaio dello scorso anno alla Carnegie Hall di New York in occasione dell’ottantesimo compleanno del compositore, con lo stesso Davies alla guida dell’Orchestra Bruckner di Linz. Una pagina che ha restituito una vena creativa glassiana che è parsa guardare ai caratteri che hanno connotato l’opera del compositore di Baltimora fin dalle origini della sua estetica, con un impianto formale classicamente tripartito, sequenze armoniche tipicamente riconoscibili nella combinazione tra accordi e arpeggi, costruzioni ritmico-melodiche coerenti con il metodo additivo che rappresenta da sempre una delle cifre stilistiche di questo autore. Il tutto rivestito da un impianto strumentale decisamente importante – basti pensare alla folta sezione percussiva – agita con buon impegno dai giovani musicisti della Cherubini guidati con pragmatica attenzione dal direttore.

La sera successiva abbiamo ritrovato Davies nei panni di pianista nell’atmosfera raccolta del Chiostro della Biblioteca Classense, affiancato dalla collega di tastiera Maki Namekawa. In questa occasione ad aprire il programma è stata Ritual di Keith Jarrett, composizione in due parti scritta nel 1974 e incisa tre anni più tardi proprio da Davies per la ECM di Manfred Eicher. Qui il pianista statunitense ha rievocato con gusto solido e consapevole quella particolare cifra che connota quest’opera, segnata da una sorta di esercizio maggiormente strutturale rispetto al segno squisitamente jazzistico del Jarrett più usuale, per poi passare il testimone alla Namekawa che, in un abito arancione che rievocava un kimono, ha reso omaggio al Mishima di Philip Glass. Nella trascrizione per pianoforte di Michael Riesman – altro storico collaboratore del compositore americano – la musica scritta per il film Mishima: A Life in Four Chapters dedicato nel 1985 dal regista Paul Schrader allo scrittore e drammaturgo giapponese, è apparsa ancora carica di quel pathos straniante e misurato che, nella pellicola, si accompagna alla narrazione cinematografica, un dato peraltro evidenziato in questa occasione dall’interpretazione brillante ed efficace della stessa Namekawa.

Ravenna Festival 2018 - Foto di Silvia Lelli
Foto di Silvia Lelli

Nella seconda parte del concerto, infine, la pianista si è seduta al fianco di Davies per un’intensa interpretazione de Le sacre du printemps di Stravinskij nella trascrizione dell’autore per pianoforte a quattro mani, chiudendo la serata – come quella precedente – tra gli applausi convinti del pubblico presente.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Piace l’allestimento di McVicar, ottimo il mezzosoprano Lea Desandre

classica

A Bologna l’opera di Verdi in un nuovo allestimento di Jacopo Gassman, al debutto nella regia lirica, con la direzione di Daniel Oren

classica

Napoli: il tenore da Cavalli a Provenzale