La qualità per rilanciare il Conservatorio

Pensieri di un commissario esterno a Santa Cecilia

Recensione
classica

Ho avuto la fortuna e il piacere di partecipare agli esami di diploma pianistico dell’Accademia di Santa Cecilia, in veste di commissario esterno.

Sapevo della qualità dei ragazzi, anche per aver già lavorato nelle commissioni d’esame dell’Accademia, e – naturalmente – conosco la maestria (artistica e didattica) del suo docente Benedetto Lupo. Ma l’esperienza è andata oltre le mie attese. Che già erano state ampiamente superate dai passaggi (gli esami intermedi) del giorno precedente. Il diploma finale è stato veramente un “fatto”, e merita qualche parola. I sei ragazzi, tutti, hanno suonato benissimo; ragazzi, va detto, già in carriera – a parte Beatrice Rana, ormai lanciata (con pieno merito) nello star system. E ciò la dice lunga sulla qualità e gli stimoli artistici di una classe in cui persino il meno brillante (a patto di riuscire a individuarlo) si fa ascoltare con interesse.

La precisione tecnica, la tenuta psicofisica, la vastità delle proposte artistiche, la cura di ogni dettaglio, erano ai massimi livelli. Perché lo dico? Innanzitutto per rendere merito ai sei diplomati, tutti con voti brillantissimi: Gesualdo Coggi, Benjamin Lee Cruchley, Maddalena Giacopuzzi, Umberto Jacopo Laureti, Leonardo Pierdomenico, Beatrice Rana.

Ma, soprattutto, perché l’Accademia di Santa Cecilia è una scuola pubblica, il vertice del sistema dei Conservatori; un sistema che pure, negli ultimi tempi, è stato minato da una riforma che definire velleitaria e incompleta è un atto di suprema cortesia, e che rappresenta l’esito finale di decenni scriteriati, in cui le cattedre crescevano senza logica alcuna, la selezione del personale docente veniva sostituita da tante sanatorie (che non sanano un bel niente, perché il precariato è ormai la norma e non una emergenza contingente). Di pari passo abbiamo visto diminuire i diritti dei docenti, mentre cresce la burocrazia, che sembra prevalere su ogni istanza artistica e musicale.

Forse anche a causa di una strutturale mancanza di interlocuzione fra ministri (o chi per loro) e musicisti.

Gli esami di Santa Cecilia sono, dunque, un bel segnale ma anche un monito. Se il Conservatorio vuole continuare (o, forse, riprendere) a essere una scuola di musica ai più alti livelli, e mantenere una relazione virtuosa con l’Accademia e – più in generale – con la qualità, deve con urgenza dare priorità alle cose che contano davvero. La musica, il talento, la fantasia, il rigore (che non è il badge o le restrizioni dell’attività artistica, ché anzi il rigore artistico presuppone la piena dignità e libertà del docente), la ricerca, lo studio.

Dalla crisi si esce lottando, e forse non è inutile tentare: le qualità ci sono, e non tremano di fronte ai confronti internazionali.

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