La Passion selon Gindt 

Il breve spettacolo, su ampi frammenti da La Passion selon Sade di Bussotti, ne è di fatto una ri-scrittura.

La Passion selon Sade
La Passion selon Sade (Foto di Sandy Korzekwa)
Recensione
classica
Parigi, Athénée- Théâtre Louis Jouvet
La Passion selon Sade
23 Novembre 2017 - 26 Novembre 2017

Approda anche a Parigi, dopo i passaggi a Nimes e a Strasbourg, la produzione che Théâtre & Musique ha dedicato a La Passion selon Sade di Sylvano Bussotti. Dopo l’ottimo l’allestimento che T&M aveva dedicato a Giordano Bruno di Filidei, e dopo una Passion realizzata a Roma l’anno passato con esito che sarebbe stato notevole, se la regia non avesse capitolato in un’incomprensibile e indigeribile sostituzione dell’azione-happening, era lecito aspettarsi, ‘finalmente’, una ripresa autorevole di un titolo di riferimento della drammaturgia musicale del secondo Novecento. Premesso che lo spettacolo di Antoine Gindt è assai curato e ben costruito, non si tratta in effetti della Passion quale il testo – pur con tutte le sue aperture locali – ci restituisce globalmente: è piuttosto una sua riscrittura, che utilizza ampie zone della partitura, nell’ordine in cui sono previste, ma spostandone la cornice d’azione e di senso.

Qui il centro del discorso è il Marchese de Sade: Gindt lo introduce subito, a mo’ di prologo fuori scena, per recitare il suo celebre Francesi, ancora uno sforzo…,  e lo pone a lungo al centro dell’azione, scalzandone di fatto la performer femminile (Justine-“O”-Juliette). In Bussotti, Sade è anzitutto un pre-testo, buono a innescare alcuni meccanismi scenici (ritualità, tableaux vivants, rovesciamento di ruolo vittima-carnefice etc.) e a valorizzare il tema del corpo in una linea a metà tra il tragico e l’estetizzante. Del Marchese, oltre alle note alfabetiche del nome cantate-dette in alcuni pannelli della partitura, solo un ritratto allusivo dovrebbe apparire, sulla scena: e invece, Sade è qui presente in carne ed ossa (ed è peraltro un interprete – Eric Houzelot – di spiccata fisicità), riunendo in sé incombenze nell’originale attribuite a più di un performer (il Maestro di cappella, La comparsa). Si defila lo sdoppiamento tra Maestro di cappella e Direttore, non tutti i Tableaux vivants pianistici ci sembra siano stati eseguiti, e l’introito al suono del Solo organistico è utilizzato quale primo pezzo musicale vero e proprio, anziché quale sfondo rituale all’ingresso graduale del pubblico. A Gindt, insomma, interessa più sviluppare un tema-contenuto generando dei segni portatori di significato, che indagare sul confine tra forme dell’esperienza: salta dunque anche qui l’happening; e la questione dell’ambivalenza tra rappresentazione e presentazione, tra scena e messinscena di un concerto, diventa un segno tra gli altri, affidato all’apparizione – regolata da un sipario – dell’ensemble (l’ottima Ensemble Multilatérale diretto da Léo Warynski) nella parte posteriore del palcoscenico, con limitate interazioni con la parte anteriore (tra queste, il formidabile Rara eseguito da Matteo Cesari).

Ripeto: i segni son poi selezionati (tra i tanti proposti dalla partitura) o inventati, e distribuiti, con evidente acume, ad es. il piccolo frigorifero nel quale vien tenuto un crocifisso, e che funziona pure da piccola luce di taglio. Anche il celebre assolo della protagonista femminile (una Raquel Camarinha bravissima sia vocalmente, sia teatralmente, molto padrona nei gesti calcolatissimi) diventa un segno, che O esegue rannicchiandosi su una poltrona, cedendo il centro dello spazio a Sade disteso sul divano. Gindt prende alla lettera, del titolo (cui allude, nella chiave del genere-Passione, un accennato inserto bachiano in conclusione), anche il primo complemento: e qui fa bene, poiché il delizioso Athénée- Théâtre non dispone di spazi scenici ampi, e il loro dosaggio cameristico era quasi una scelta obbligata. Resta un filo d’amaro in bocca per aver visto uno spettacolo d’après, più che il titolo originale: quel teatro musicale sperimentale, con la sua tendenza alla scrittura scenica, si presta certo più di altri a un’operazione del genere, e l’impianto additivo nello svolgimento della Passion è un ulteriore invito in tal direzione; ma un invito insidioso, poiché, quanto a struttura e a dettaglio dell’azione, inserita in partitura perfino col disegno di componenti e posizioni sceniche , il lavoro di Bussotti è assai meno aperto delle sue specifiche soluzioni semiografico-musicali, ormai entrate nella storia. La produzione ha dichiarato in qualche modo la ‘deriva’ del testo originario entro uno spettacolo autre, ma direttamente nel programma di sala, nel quale ‘précédé de Solo’ è diventato ‘précédé de Français, encore un effort’ etc., e ‘suivi d’une autre Phrase à trois’, ‘conclu par Blute nur, du liebes Herz! de Johann Sebastian Bach’ etc. In casi del genere, mi chiedo, non è il caso di ridefinire più nettamente il titolo della performance (come poi è accaduto di regola, nel teatro della ‘scrittura scenica’), piuttosto che conservare in primo piano il titolo originario tale e quale?...

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