La materia dei sogni secondo Stockhausen

La 69esima edizione della Sagra Musicale Malatestiana di Rimini si è aperta con Tierkreis e Aus den sieben Tagen del compositore tedesco

I sogni di Stockhausen
I sogni di Stockhausen
Recensione
classica
Sala Pamphili – Complesso degli Agostiniani, Rimini
I sogni di Stockhausen
06 Agosto 2018

Se Shakespeare fa dire a Prospero, nel quarto atto del suo dramma romanzesco – questa la definizione dell’opera di Giorgio Melchiori – The Tempest, «siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni», per Stockhausen la materia dei sogni pare essere la musica. Una musica che deve essere pensata prima di essere suonata, come è emerso anche in occasione della serata di apertura della 69esima edizione della Sagra Musicale Malatestiana di Rimini, segnata da un omaggio al compositore tedesco titolato “I sogni di Stockhausen”, nell’ambito del quale sono state proposte le opere Tierkreis e Aus den sieben Tagen.

Ad aprire questa calda serata di inizio agosto, ospitata in una Sala Pamphili del Complesso degli Agostiniani colma di pubblico, è stata la sequenza dello Zodiaco presentata nella versione per voce e pianoforte affidata a Elisa Prosperi e Amadea Lässig, giovani interpreti vincitrici al New Music Project 2017 promosso dai San Marino International Summer Courses, realtà con la quale è stata realizzata questa nuova produzione della Sagra riminese. Una realizzazione il cui versante visivo è stato curato da Luca Brinchi e Daniele Spanò, che hanno ideato un contrappunto di immagini, proiettate sui due schermi che delineavano le pareti lunghe dello spazio scenico, ispirate ai quattro elementi di cui i segni zodiacali fanno parte: aria, acqua, terra e fuoco. Originariamente concepita attorno al 1975 come una sequenza di 12 essenziali melodie, scaturite da carillon inclusi nella pièce teatrale Musik im Bauch, la metamorfosi offerta in questa occasione di Tierkreis ha saputo evidenziare il carattere rappresentativo di una successione di suggestioni astrali incarnate dalle due cantanti, impegnate in movimenti rituali disegnati in uno spazio scenico essenziale, abitato da un lato dalla rappresentazione dei quattro elementi – un palloncino per l’aria, una vasca trasparente per l’acqua, una candela accesa per il fuoco e un vaso colmo di terra – e dall’altro da un pianoforte. Un versante, quest’ultimo, che è apparso quale oasi di più intimo contatto con l’essenza del pensiero musicale di Stockhausen, nell’ambito di un’efficace scambio tra canto ed effetti vocali da un lato – impegno ben sostenuto dalle giovani Prosperi e Lässig – e, dall’altro, il fluire suggestivo di immagini nel quale si alternavano fuochi dalle forme geometriche, scorrimenti orizzontali di pietre e terra, e una natura meno astratta evocata ora da fronde di alberi scossi dal vento ora da impetuosi corsi d’acqua.

Una rappresentazione plastica della dimensione universale dello Zodiaco del compositore tedesco che ha rievocato – lontano da una qualsivoglia declinazione drammatico-romanzesca o descrittiva – il songo di “trasformare l’intero mondo in musica” espresso dallo stesso Stockhausen. Nata nel corso di una settimana di isolamento maturata nel fatidico maggio del 1968, Aus den sieben Tagen pare blandire quel sogno, vuoi per il senso estemporaneo e aleatorio racchiuso in questa sequenza di quindici pagine contenenti esercizi e meditazioni, vuoi per il carattere minuziosamente descrittivo che emerge, in apparente contraddizione, dalle stesse prescrizioni rivolte agli interpreti. Una latente contrapposizione che è stata disciolta nella cifra interpretativa offerta da una formazione che prevedeva alcuni riconosciuti specialisti del repertorio contemporaneo quali il trombonista John Kenny, il baritono Nicholas Isherwood, il violoncellista Rohan de Saram, il flautista Roberto Fabbriciani, un ensemble capace di declinare, in maniera personale ed efficace, istruzioni, via via proiettate sullo sfondo dello spazio che ospitava i musicisti, come la seguente: «Suona una vibrazione al ritmo dell’Universo. Suona tutti i ritmi che puoi distinguere oggi tra i ritmi più piccoli che puoi percepire e i ritmi dell’Universo».

Un mondo musicale il cui carattere rituale e, se vogliamo, esoterico ci riporta a una illuminata descrizione che Mario Bortolotto offre, scrivendo proprio di Aus den sieben Tagen, in un testo accolto nel volume Il viandante musicale recentemente pubblicato da Adelphi (a cura di Jacopo Pellegrini e Roberto Colajanni) e presentato alla Libreria Riminese prima di questo concerto in occasione di una sapida conversazione tra Alessandro Taverna e Marco Vallora: «Ciò che ci pare incontestabile – scrive Bortolotto – è la necessità di una affinità essenziale tra interpreti e testo: solo chi sia vissuto nell’ambito della Nuova Musica può eseguire Stockhausen…».

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