Il risveglio di Amburgo 2: Bieito fa il bis

Alla Staatsoper di Amburgo il regista spagnolo riprende l’“Otello” verdiano dal Teatro di Basilea e firma un concerto scenico su Gesualdo da Venosa

Recensione
classica
A festeggiamenti in corso per l’apertura dell’Elbphilharmonie, l’Opera di Stato di Amburgo continua con lo slancio impresso dal cambio di guida artistica della scorsa stagione. E mentre il direttore musicale Kent Nagano trionfa con la “sua” Philharmonisches Staatsorchester nell’oratorio di Jörg Widmann all’auditorium, Georges Delnon chiama Calixto Bieito, dopo la feconda collaborazione durante la sua gestione artistica a Basilea, per due produzioni parallele. La prima è la ripresa per la scena amburghese dell’“Otello” di Verdi, prodotto nel teatro svizzero nel 2014. La seconda è invece la nuova produzione “¡Gesualdo!”, realizzata in collaborazione con il Teatro Arriaga di Bilbao, di cui Bieito è direttore artisico da questa stagione.

Lasciate alle spalle le spavalde provocazioni degli esordi, il Bieito più recente sembra puntare a uno stile più compatto e essenziale, anche se intatta resta l’attrazione per il parossismo e l’estremo. La scena di Susanne Gschwender per questo “Otello” è minimale ma con un segno forte: una scatola nera nella quale troneggia una enorme gru gialla che poggia su un suolo sconnesso. Attorno e dentro quella grande struttura metallica si svolge interamente l’azione compresa la morte di Otello che avviene sul punto più alto del braccio minacciosamente puntato sulla platea per rompere l’illusione della quarta parete. La tempesta che apre l’opera non ha niente di atmosferico ma anticipa una lettura dell’opera verdiana sviluppata sul filo dell’oppressione e della violenza. Il popolo dapprima trepidante e infine esultante è un’umanità degradata rinchiusa dietro a un filo spinato, un’umanità manovrata e violata per il puro piacere dei potenti. È dunque una storia di violenza e umiliazione l’“Otello” secondo Bieito e Iago ne è il vero protagonista, sempre presente in scena, autentica anima nera di Otello. La gelosia di Otello non è che lo strumento messo in azione da Iago per la degradazione di Desdemona (e dello stesso Otello) come brutale esercizio di potere. Ancor più che nel passato, Bieito si muove con coerenza lungo il percorso della sua idea drammaturgica, la cui paradigmatica bidimensionalità trascura sfumature e complessità psicologiche. Del primo Bieito resta invece il gusto del gesto triviale e compiaciuto: se Cassio racconta a Iago del suo incontro con Bianca, deve accompagnarlo da movimenti pelvici; se Otello dà della cortigiana a Desdemona, Iago ne approfitta per allungarle una mano fra le cosce e via dicendo. Resta anche una certa approssimazione sulla direzione scenica, che diventa accettabile solo se si abbraccia in blocco la sua ipotesi di lavoro. Certamente non ne risente troppo un interprete come Marco Berti, un Otello al quale non mancano certo le note ma privo di quella varietà di colore e fraseggio che renderebbero giustizia alla tormentata complessità del personaggio. Decisamente più interessanti il torvo Iago di Claudio Sgura e la remissiva Desdemona di Svetlana Aksenova, che piacerebbe riascoltare in un contesto meno estremo. Degli altri, Markus Nykänen disegna un Cassio non privo di eleganza e Nadezhda Karyazina è Emilia che sboccia solo nel finale. Una prova vigorosa è sicuramente quella del coro dell’Opera. Se qualche finezza si ascolta è soprattutto grazie al direttore Paolo Carignani, che anche in questa prova conferma perizia e gusto intonati allo stile verdiano.

Di tenore completamente diverso “¡Gesualdo!”, un concerto scenico su musiche di Gesualdo da Venosa realizzato nello spazio intimo dell’opera stabile. Privo di una drammaturgia stringente, lo spettacolo segue comunque una traccia nella quale non è difficile scorgere delle reminescenze della tragica vicenda esperienza umana del principe di Venosa, omicida efferato della moglie Maria d'Avalos e del di lei amante Fabrizio Carafa. Rimasto impunito perché commesso per difendere l’onore, il delitto segnò un punto di svolta esistenziale e artistica per il principe di Venosa. Frutto maturo di quella svolta furono il V e VI Libro dei Madrigali a 5 voci, che dello spettacolo firmato da Calixto Bieito con la collaborazione drammaturgica di Johannes Blum costituiscono l’ossatura. Lo spettacolo si apre con una sorta di microliturgia di passione e morte sulle note della “Lamentatio Jeremiae” seguita da “In monte Oliveti” e infine “Tristis est anima mea”, che introduce la dialettica spesso tesa fra i sette cantanti e un uomo completamente inerme nella sua esibita nudità. La silloge dei dieci madrigali da “O dolorosa gioia” a “O tenebroso giorno” copre una gamma di stati d’animo più che di situazioni che raccontano di una morte e di una rinascita con un linguaggio scenico ridotto all’osso, che deve forse più alla performance che al teatro. “Ero cieco e ora torno a vedere” si scrive su una parete, mentre sotto un getto d’acqua l’uomo lava via dal proprio corpo la terra e il sangue che lo coprono prima di rimettersi in cammino. Non troppo incisivo sul piano drammatico nonostante qualche “graffio” alla Bieito, questo “¡Gesualdo!” trova la sua più autentica essenza nella musica, che rivive nelle voci di Tanya Aspelmeier, Gabriele Rossmanith, Amélie Saadia, Sergei Ababkin, Viktor Rud; Zak Kariithi e Felix Schwandtke accompagnati della gambista Frauke Hess e dell’organista Daveth Clark sotto la direzione del liutista Johannes Gontarski.

Calixto Bieito parla delle due produzioni per l’Opera di Stato di Amburgo:

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