Gli ungheresi a Ravenna

La Budapest Festival Orchestra con Ivan Fischer al festival ravennate

Recensione
classica
Ravenna Festival Ravenna
10 Giugno 2016
La Budapest Festival Orchestra sta diventando di casa in Italia e i suoi concerti non deludono mai. Meno di tre mesi fa aveva fatto da noi alcune tappe nel corso della sua tournée europea con la Terza di Mahler, ora è tornata per un unico appuntamento al Ravenna Festival, ovviamente sempre col suo fondatore Ivan Fischer sul podio, ma con un programma di normale repertorio. Normale, perché Stravnskij, Liszt e Dvorak sono di casa in tutte le sale da concerto, ma non scontato, perché Jeu des cartes del primo e il Concerto n. 2 del secondo sono piuttosto rari. È lo Stravinskij più disimpegnato - quello che Adorno non tollerava proprio - che nel 1936 scrisse questo balletto: sono tre mani di "poker musicale" è Stravinskij si dimostra un giocatore provetto, che bluffa e non fa capire le sue carte, infatti la musica è tutta intessuta di citazioni ma, tranne quella del Barbiere di Siviglia, non si riesce a individuarne nemmeno una. È un gioco, quindi per definizione un po' futile, ma condotto con diabolica abilità dal compositore. Il Concerto n. 2 è invece uno dei lavori più impegnati di Liszt sotto l'aspetto della costruzione formale, che consiste in un unico movimento diviso in varie sezioni e basato sulla trasformazione di tre temi fondamentali. È anche relativamente poco virtuosistico e questo spiega perché uno dei concerti più rappresentativi, nonostante qualche momento un po' debole, del secolo del romanticismo riceva scarsa attenzione dai pianisti e dal pubblico. Denes Varjon l'ha suonato con convinzione, dando molta attenzione alle sfumature più che ai passaggi clamorosi, che sono in verità pochi e concentrati soprattutto nella coda. L'Ottava è uno dei capolavori di Dvorak, anche superiore alla Sinfonia "Dal Nuovo Mondo", che però vince per i suoi temi di enorme impatto. L'orchestra ha suonato col virtuosismo di una delle migliori orchestre di oggi, con la classe della vecchia tradizione asburgica e, alst but not least, col temperamento acceso dei musicisti ungheresi: a questo proposito va notato che nell'elenco degli strumentisti si leggono solo quattro nomi non ungheresi, una rarità in tempi di orchestra composite, che porta a una crescente omologazione. Ivan Fischer ha diretto con un misto impeccabile di energia e precisione, in modo giustamente "freddo" in Stravinskij, con maggior abbandono in Liszt e soprattutto in Dvorak. Grande successo e due bis alla fine: una selezione delle Danze popolari rumene di Bartok e uno dei Duetti moravi di Dvorak, che ci ha riservato una sorpresa: tutte le componenti donne dell'orchestra hanno formato un piccolo coro.

Interpreti: Dense Varjon, pianista

Orchestra: Budapest Festival Orchestra

Direttore: Ivan Fischer

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Piace l’allestimento di McVicar, ottimo il mezzosoprano Lea Desandre

classica

Napoli: il tenore da Cavalli a Provenzale

classica

A Bologna l’opera di Verdi in un nuovo allestimento di Jacopo Gassman, al debutto nella regia lirica, con la direzione di Daniel Oren