Epica, calma, americana

Bill Frisell e il suo progetto dedicato alla fotografia di Michael Disfarmer

foto j.t.
foto j.t.
Recensione
jazz
Centro Jazz Torino Torino
18 Marzo 2011
Michael Disfarmer negli anni Trenta del Novecento fotografò centinaia di cittadini di Heber Springs, Arkansas. Un lavoro meticoloso, quasi maniacale: foto in bianco e nero, a figura intera, su sfondo nero perlopiù: volti giovani e vecchi che paiono i protagonisti di un'epica alla Steinbeck. Un lavoro da periferico della fotografia: riscoperto solo negli anni Settanta, fra le altre cose, ha ispirato una serie di composizioni di Bill Frisell raccolte in un album di un paio di anni fa intitolato – semplicemente – “Disfarmer”. Album che il chitarrista ora sta portando in giro per l’Europa e, di passaggio, a Torino per l’ultimo appuntamento della rassegna Linguaggi Jazz, organizzata dal Centro Jazz. Ora, visto il metodico percorso di scavo operato da Bill Frisell nella roots music americana, è quasi scontato considerare l’aderenza quasi tattile della musica alle immagini. Così come il quartetto tutto corde – in cui spicca, oltre alla cristallina Telecaster del leader, la pasta armonica della pedal steel di Greg Leisz – scompone e ricompone con lentezza i temi, così i ritratti si proiettano e sovrappongono, si compongono e scompongono sugli schermi a lato palco. L’aderenza è tale che persino la lentezza ponderata della musica, delle variazioni (un flusso unico, raramente interrotto da applausi) appare più un correlativo “caldo” dei grandi spazi americani, della frontiera, che non un portato della “freddezza” Ecm di altri lavori di Frisell. Compaiono temi noti (“That's Alright, Mama”, portata al successo da Elvis, il bis con I “I’m so lonesome I could cry”, cantata dalla violinista – e cantautrice – Carrie Rodriguez) e ignoti, che potrebbero tranquillamente non essere originali: un antologia americana di bluegrass, ragtime, blues, country che sovrappone minimalismo cameristico ad aperture più limpidamente folk. È davvero difficile, anche in questo caso, dire cosa “significhi” la musica e in che modo riesca a stabilire un legame intimo con i volti di Disfarmer: ha, probabilmente, a che fare con lo sguardo più che con l’orecchio. Lo sguardo in camera di tutti i soggetti, che più che all’obiettivo pare rivolgersi oltre, in spazi infiniti e indeterminati fatti di una grande, epica calma.

Interpreti: Bill Frisell: chitarra; Carrie Rodriguez: violino, voce Greg Leisz: mandolino, pedal steel guitar, dobro; Viktor Krauss: contrabbasso

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