Don Carlo, vince la musica

All'ottantesimo Maggio Musicale Fiorentino un grande Mehta e uno spettacolo discutibile

Foto Michele-Borzoni
Foto Michele-Borzoni
Recensione
classica
Teatro dell'Opera di Firenze
Giuseppe Verdi
05 Maggio 2017

Zubin Mehta se l'è proprio goduto, l'amato Don Carlos – anzi, Don Carlo (si dava infatti la versione italiana). La sua direzione, la sera della prima, è stata fra le sue cose memorabili a Firenze, dalla virtuosistica brillantezza della "Canzone del Velo" alla sconvolgente tragicità del preludio del quarto atto, dalle sonorità ctonie e squassanti dell'ingresso del Grande Inquisitore ai lamenti dei legni dell'ultimo duetto di Carlo ed Elisabetta. Una lettura sontuosamente crepuscolare, in cui anche l'orchestra, nei ben calibrati impasti come nelle sortite solistiche (come il magnifico solo del violoncello, Patrizio Serino, all'inizio del terzo atto), ha dato il meglio di sé, come l'ottimo coro istruito da Lorenzo Fratini. Purtroppo a questa qualità musicale non ha corrisposto del tutto, a nostro gusto (perché poi gli applausi ci sono stati per tutti o quasi), né lo spettacolo importato dalla Spagna, né le voci. La regia di Giancarlo Del Monaco ci è sembrata oscillare fra una poco fluida e ingombrante solennità cerimoniale, nelle scene di corte e di massa, e una gestione senza finezza dei personaggi, con un codice gestuale ora rigido ora esagitato. Idee discutibili a iosa, dall'enorme crocifisso portato a spalla che ingombrava inutilmente la scena dell'auto da fé, al finale in cui è Filippo II a far fuori Don Carlo. Cast diseguale, in cui, fatta eccezione per l'intensa Julianna Di Giacomo, Elisabetta, e dopo di lei per l'efficace Eboli di Ekaterina Gubanova, nei ruoli principali non ci è piaciuto nessuno, o per eccesso di pathos privo di vero mistero (Roberto Aronica nel ruolo del titolo), o per fastidiosa rigidezza, o per assenza di fascino e nobiltà, o per cantar male senz'altro. Successo comunque netto, un autentico trionfo personale per Mehta, repliche fino al 14 maggio.

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