Dalla Colombia a Roma

Il talento di Andrés Orozco-Estrada

Recensione
classica
Negli ultimi anni dall'America latina stanno arrivando numerosi giovani direttori da seguire con la massima attenzione. Alcuni sono stati formati da El Sistema venezuelano e tra loro il più famoso - ma non l'unico - è certamente Gustavo Dudamel, che alcuni ritengono un prodotto mediatico ma che è sicuramente anche un grande talento. Ma ci sono anche l'argentino Alejo Pérez - ancora poco noto, ma si può da scommettere che si sentirà parlare sempre più spesso di lui in tempi brevissimi - e il colombiano Andrés Orozco-Estrada, che ha già trentotto anni d'età e dodici anni di attività alle spalle. È salito sul podio di varie grandi orchestre ma non rimbalza da una capitale della musica all'altra né ha contratti in esclusiva con una prestigiosissima casa discografica, come è capitato a Dudamel. E il fatto che non diriga quasi mai opere (mi risulta solo un Don Giovanni al festival di Glyndebourne) ne limita indubbiamente la notorietà. Attualmente è il direttore dell'Orchestra della Radio di Francoforte e della Sinfonica di Houston, che sono due complessi di ottimo livello ma non al centro dell'attenzione mondiale. È piccolino e un po' rotondetto, non ha il profilo volitivo del dominatore dell'orchestra, insomma non ha le physique du rôle. Il suo gesto non è teatrale, ma molto preciso e chiaro e, a quel che sembra, riesce a ottenere la piena fiducia, collaborazione e simpatia delle orchestre: almeno è così con quella dell'Accademia di Santa Cecilia, che con lui dà sempre il meglio. Da lui non bisogna aspettarsi i facili e superficiali luoghi comuni attribuiti al temperamento latino - calore, esuberanza, fisicità - perché nelle sue interpretazioni si fa guidare dall'equilibrio, l'eleganza e lo stile appresi durante la sua formazione viennese. Ed è molto attento nella scelta dei programmi, impaginati sempre con coerenza, senza la preoccupazione di predisporsi una serie di musiche che assicurino l'applauso. Il risultato di tutto questo è che ogni suo concerto è praticamente perfetto.

A Roma ha diretto qualche settimana fa un programma di autori di Vienna e dintorni (Webern, Zemlinsky e Strauss) e in questi giorni è tornato per dirigere La Creazione di Haydn. Ha scelto un'orchestra di dimensioni ridotte (per quanto possibile in una sala da duemilaottocento posti) tanto che il clavicembalo era ben percepibile non solo nei recitativi (è ovvio) ma anche nelle pagine orchestrali e di questo monumento del classicismo viennese ha dato una lettura non grandiosa ma raccolta, non romanticamente drammatica ma profondamente permeata di equilibrio e serenità interiori. Grande la sua attenzione a tutti gli stupendi dettagli della scrittura haydniana, ma senza calcare la mano sugli elementi descrittivi: per dare l'idea, più del ruggito del leone si è sentito il lieve fioccare della neve. Un concerto come questo non fa scattare il pubblico in piedi ad applaudire fino a spellarsi le mani, ma fa uscire dalla sala con l'idea di conoscere meglio un capolavoro ascoltato tante volte. Vanno doverosamente ricordate anche le ottime prove del Coro, preparato da Ciro Visco, e dei solisti Christiane Karg, Benjamin Bruns e Günther Groissböck. L'orchestra di Santa Cecilia ha già un direttore musicale in Antonio Pappano e, da qualche giorno, anche un direttore onorario in Yuri Temirkanov. Resta vacante il posto di direttore principale ospite... peccato che poco fa Orozco-Estrada abbia già accettato un analogo incarico alla London Symphony.

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