Catania, se il sinfonico non è un ripiego

Due concerti sinfonici al Teatro Massimo Bellini di Catania, in attesa della lirica

Due concerti sinfonici al Teatro Massimo Bellini di Catania, in attesa della lirica
Recensione
classica
Teatro Massimo Bellini, Catania
Stagione sinfonica
21 Aprile 2018 - 28 Maggio 2018

La dirigenza del Teatro Massimo Bellini di Catania ha deciso di spostare la produzione lirica dell’Andrea Chenier dal maggio all’ottobre, di fatto sospendendo la programmazione lirica 2018, in attesa del varo ufficiale della finanziaria regionale: il paventato taglio di oltre 2 milioni avrebbe messo il Teatro nell’impossibilità di pagare perfino le maestranze stabili; ora il taglio sembra rientrato, ma la finanziaria è in discussione in aula in questi giorni, e sorprese in passato non sono mancate.

Perciò, va avanti – e si avvia alla conclusione – solo la programmazione sinfonica del Teatro, con interessanti programmi spesso dal prezioso taglio monografico, come quelli sui compositori armeni e scandinavi. Il concerto diretto da Eckehard Stier non apparteneva esattamente a tale linea, ma ha avuto il pregio di offrire – accanto a una Sinfonia n. 1 di Haydn e a una Classica di Prokofiev che non rimarranno nella storia – un’ottima esecuzione della Sinfonia n. 12 "Anno 1917" di Šostakovič: non so dire se fosse la prima esecuzione da parte dell’Orchestra del Teatro Massimo Bellini, ma il grosso lavoro di preparazione e concertazione si è colto nella coesione e nell’intonazione delle sezioni così come nella plasticità delle differenze di dinamica e di colore. La musica di Šostakovič ha fatto il resto, in un brano che rilegge l’innesto formale tra unico movimento in forma-sonata e successione direzionata di quattro movimenti, in una chiave che sarebbe retorica, ma che inesorabilmente avvince l’ascoltatore.

Ottima prova e ampio apprezzamento si sono ripetuti una settimana dopo, stavolta in un programma interamente dedicato alla generazione dell’ottanta: l’Orchestra, ben guidata da Salvatore Percacciolo, ha un po’ sofferto la scrittura "sperimentale" d’effetto, debitrice del virtuosismo timbrico primo-novecentesco tanto francese quanto tedesco, del giovane Malipiero nella Sinfonia del mare, ma ha fatto benissimo nel colorismo netto, neo-classico, della Suite sinfonica da "La giara" di Casella (insieme al tenore Rosolino Claudio Cardile). La serata ha messo in luce anche la bontà delle prime parti del complesso, oltre che nei soli sinfonici, anche come solisti tout-court: Giuseppina Vergine, prima arpa dell’orchestra, ha sciorinato una performance maiuscola nel Concerto per arpa e orchestra di Pizzetti: precisione, solidità, escursioni dinamiche e timbriche, soprattutto capacità di un fraseggio nitido e morbido emerso soprattutto nelle cadenze e negli assoli (una dote fondamentale per i veri esecutori di livello con questo strumento); applausi finali molto calorosi e meritatissimi, ricompensati brillantemente con un bis idiomatico e caratteristico (la Danza del fuoco di David Watkins).

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