Ambiguità drammatica e chiarezza espositiva

Recensione
classica
Wiener Festwochen Vienna
Benjamin Britten
31 Maggio 2002
Come è noto, il modello di Henry James utilizzato per la celebre opera di Benjamin Britten offre molteplici spunti interpretativi e di lettura e, non a caso, alcuni commentatori hanno voluto vedere anticipati i postulati dell''opera aperta', teorizzati da Umberto Eco per le opere artistiche della seconda metà del Novecento. Questo punto di partenza ci appare uno dei più adatti per approcciare quest'opera, tra le più ambigue e, per questo, affascinanti della musica contemporanea, cercando di comprendere quali tematiche e aspetti la regia abbia voluto metterne in risalto. Contrariamente alla prassi comune, il nostro primo elogio va all'ensemble strumentale e, soprattutto, al giovane diretore Daniel Harding, che ha saputo rendere con chiarezza quasi strutturale la partitura. Questa interpretazione ha evidenziato perfettamente tutte le sottigliezze cameristiche dell'orchestrazione (le linee melodiche dei singoli strumenti e la condotta delle parti), temperando così il lato 'neoclassico' della musica di Britten che, enfatizzato in maniera sinfonica, perde il suo valore di citazione storica e parodistica. La lettura musicale tende, quindi, alla resa dei nessi formali della partitura, quasi a sottolineare che l'ambiguità di cui abbiamo precedentemente parlato emerge in maniera sufficiente nella musica stessa, senza la necessità di ulteriori approfondimenti interpretativi. Diverso, invece, l'apporto dato dalla scenografia e dai costumi, immutati nei due atti, in cui si può leggere, a nostro avviso, un chiaro intento simbolico. Dei pannelli bianchi mobili costruiti secondo il principio dell'incastro sono l'unico criterio di delimitazione spaziale. Il loro movimento amplia o restringe lo spazio scenico e, a seconda dei casi, la loro mobilità o immobilità e l'ampiezza della scena delimitata, sottolineano non solamente il luogo della vicenda (la casa o una situazione esterna), ma anche una situazione psicologica (i due pannelli laterali che nel primo atto si restringono fino a quasi schiacciare la governante sono l'iniziale accenno delle vicende misteriose che impereranno nella casa, ma anche simbolo della prigionia e della gabbia in cui si viene a trovare, improvvisamente e a sua insaputa, la protagonista femminile). Gli oggetti sulla scena sono pochi: sono oggetti della quotidianità (una lavagna, sedie di plastica!, un cavallo a dondolo, un tavolo), utili per accompagnare una particolare sequenza drammatica, ma non per alludere ad un arredamento, poiché la casa non deve assolutamente essere connotata, in quanto potrebbe essere qualsiasi casa. I costumi dei bambini sono bianchi e quelli della governante neri, e qui ci sembra che il dualismo tra bene e male, innocenza e corruzione venga proposto in maniera troppo esplicita e chiara, quasi banale. La regia è priva di accenti spettacolari, mai, però, noiosa e statica. Lo stratagemma di far cominciare lo spettacolo in medias res (il narratore entra in scena a luci accese quando il pubblico ancora non ha terminato di prendere posto e comincia il prologo) è addirittura geniale, risparmiandoci per una volta tutti quei residui e tic vetero-borghesi che abitualmente accompagnano l'inizio degli spettacoli teatrali. Le luci in sala calano solo all'inizio del primo atto e il sipario non si è mai aperto, poiché un sipario in quanto tale non vi era. La condotta degli attori è sobria, lenti i movimenti, chiari i gesti. Le ossessioni degli attori, se così possiamo chiamarle, emergono solo nell'interagire di musica, canto e movimento e non attraverso l'intensificazione estremizzata di una di queste arti. In questo modo, la dinamica insita nel modello letterario dell'opera (quella oltremodo complessa relazione tra realtà, finzione e mistero; spiegabile ed inspiegabile; morbosità, repressione sessuale e affetto; esternazione e interiorità; innocenza, perversione e corruzione) viene mostrata come qualcosa su cui potersi interrogare senza giungere ad alcun risultato poiché, come il racconto di James, la regia di Luc Bondy non vuole giudicare, bensì illustrare. Ma soprattutto, non vi è una decisione chiara e precisa su quale personaggio incarni il bene e quale il male. Nel corso dell'opera tutti i personaggi, a turno, si trovano a essere i messaggeri e i simboli di questi due aspetti, che altro non sono che i due lati della stessa medaglia, la personalità umana. I cantanti reagiscono molto bene alle sollecitazioni di questo tipo di regia. Bravissimi i due bambini, che approcciano le contraddizione insite nelle loro parti con la maturità di attori esperti e provati, ma è soprattutto Mireille Delunsch a brillare, sussumendo nella sua prova un'immensità sproporzionata di sfumature caratteriali: la drammaticità, l'autoanalisi introspettiva, la follia, la realtà, la visione e tutte le altre tonalità che hanno contribuito a creare quell'ambiguità irrisolta di cui abbiamo parlato all'inizio della nostra recensione.

Note: Coproduzione Wiener Festwochen e Festival d'Aix-en-Provence

Interpreti: Olivier Dumait, Mireille Delunsch, Pablo Strong (il 2 e il 6 giugno George Hicks), Nazan Fikret (il 2 e il 6 giugno Pippa Wooddrow), Hanna Schaer, Marlin Miller, Marie McLaughlin

Regia: Luc Bondy

Scene: Richard Peduzzi

Costumi: Moidele Bickel

Orchestra: Mahler Chamber Orchestra

Direttore: Daniel Harding

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