Paisley è il nome con cui in Europa definiamo il “tessuto cashmere”, i cui motivi ornamentali sono gocce colorate con un'estremità appuntita ricurva diventarono famosi in Europa quando dall’India, ancora colonia britannica, cominciarono a essere importati nel Settecento e diffusi gli scialli kashmir, decorati con quella figurina ripetuta.
Il “Paisley” diventò qualcosa di iconico per le subculture freak psichedeliche degli anni Sessanta, e di lì in avanti. Tant’è che una ventina d’anni dopo, nel buio laccato di tinte acide degli anni Ottanta, chi voleva distinguersi dal synth pop e dalle giacche con le spalline spesso andò a cercare i riferimenti (anche iconografici, anche nel modo di vestire) nella psichedelia di un quarto di secolo prima.
Il gruppo che meglio seppe surfare con sincerità, genuinità e un gran motore musicale su quella sponda di nuovo rock che protendeva radici profonde nel passato con la necessaria mediazione del punk furono i Dream Syndicate guidati dal carismatico Steve Wynn. Sovrani senza nobiltà di sangue, ma solo di valore sul palco del cosiddetto Paisley Undergrond, della scena losangelina post punk che cercava riferimenti nel garage rock psichedelico e urticante, senza neppure disdegnare incursioni in un alt rock venato di country proletario e dolente.

Ed ancora: un orecchio al Neil Young slabbrato e feroce dei dischi elettrici, un altro alle iterazioni furibonde macinate per quarti d’ora dei Velvet Underground. Perfino il nome che Steve Wynn decide di dare al “suo gruppo” è un insieme di colti riferimenti a un passato importante che si invera nella contemporaneità: proviene dal titolo dell'album Outside The Dream Syndicate che Tony Conrad incise insieme ai Faust nel 1972, figlio a propria volta della formazione di musica sperimentale Theatre of Eternal Music di John Cale e LaMonte Young a New York nei primi Sessanta.
Steve Wynn ha lasciato molti dischi a proprio nome o con perfetti paralleli al "Sindacato del Sogno", che resta però il nerbo vitale ed ineludibile di tutta la sua storia. Formazione che dal 1982 ad oggi ha dato segnali episodici, ma sono sempre state intermittenze radiose di creatività, sino al recupero, perfino, di certo kraut rock iterativo tedesco.
Tutto questo, nulla tacendo sulle proprie origini di ragazzo timido e un po’ sbandato nella California anni Sessanta, di commesso di negozi di dischi, di apprendista stregone con la prima chitarra elettrica tra le mani, di amico e compagno di palco dei R.E.M. ce lo racconta lui stesso, Wynn, nel magistrale Non lo direi se non fosse vero. Memorie di musica, vita e Dream Syndicate, quasi trecento pagine che si leggono d’un fiato, come l’ascolto di Medicine Show, a quarant’anni esatti dalla pubblicazione. Edizioni Jimenez, eccellente traduzione di Gianluca Testani.