L’Rain, la fatica del cambiamento

Fatigue è il secondo, affascinante lavoro di Taja Cheek, meglio conosciuta come L’Rain

L'Rain - Fatigue
Disco
pop
L’Rain
Fatigue
Mexican Summer
2021

A quattro anni dal precedente L’Rain, Fatigue è il secondo lavoro di Taja Cheek, meglio conosciuta come L’Rain, sperimentalista e multi-strumentista di Brooklyn. Dopo un primo album attraversato dal dolore per la perdita della madre avvenuta durante la lavorazione del disco, Fatigue è incentrato sulla necessità e potenza del cambiamento e sulla fatica per raggiungerlo e metterlo in atto.

«Che cosa avete fatto per cambiare?»: la domanda, posta dal cantante e poeta newyorkese Quinton Brock all’interno di “Fly, Die”, il brano d’apertura del nuovo album, è sia invito sia invocazione, il cambiamento è inteso non come azione solitaria ma collettiva.

L’ultimo anno e mezzo di pandemia ci ha sottoposti a una fatica nuova, sconosciuta, sia fisica sia mentale, ci siamo trovati di fronte a vecchi e nuovi problemi sistemici, ciò che davamo per garantito si è rivelato fragile e aleatorio, la nostra sopportazione è stata messa a dura prova (permettetemi di sottolineare che sono riuscito a non adoperare il termine “resilienza”, diventato ormai abusato e dunque insopportabile, almeno per me). E allora Taja Cheek suggerisce che questo è il momento giusto per cercare un cambiamento, con la consapevolezza della nostra debolezza.

L’estetica di L’Rain è sovraeccitata ma, se possibile, in maniera languida, fatta di una mescolanza di generi e umori che appaiono e scompaiono all’interno degli strati del suo avant pop orchestrale dal sapore psichedelico: gospel, jazz, neo-soul e altro ancora contribuiscono a un processo che ha come risultato la ridefinizione del significato che siamo soliti attribuire al termine “canzone”.

A fine marzo era uscito il singolo “Two Face”, canzone che rimbalza tra due voci, una che richiama la luce e l’altra l’oscurità, accompagnato da un video commissionato a Reese Donohue e creato con tecnologia video volumetrica.

Passa un mese e mezzo ed è la volta di “Blame Me”, una riflessione sul senso di colpa e la perdita, accompagnato dalle immagini curate da Andy Swartz e che vedono come protagonista Tinkcolorful, Happi Da Klown.

«Sono affascinata dalla predilizione dei clown per l’entropia e l’assurdità in generale dal loro ruolo di icone definitive della complessità emotiva (le lacrime del clown…)» ha dettto L'Rain in un'intervista. «C’è anche qualcosa dei cosiddetti "freaks" che mi fa sentire come se fossi a casa: gente che è giudicata inutile, pericolosa o troppo strana per essere capita. Chi non si sente incompreso in quest’epoca di social media, caos sociale e penuria sociale?».

Un altro mesetto ed ecco “Suck Teeth” che – queste le parole di L’Rain - «originariamente avrebbe dovuto essere il titolo dell’album perché mi piaceva come incapsulava un suono molto black di disapprovazione, fastidio e delusione». Questa volta la regia del video di accompagnamento è affidata a Nathan Bajar.

Se avete visto i video proposti, avrete capito che ci troviamo di fronte a musica non lineare, per non dire complicata, difficilmente catalogabile. E ovviamente l’album prosegue su questa strada, con pochi episodi più convenzionali (citerei “Find It”, dove compaiono gli archi, peraltro smorzati nel finale da Taja che percuote il pavimento con utensili metallici, e la conclusiva “Take Two”, che mi ha fatto venire in mente gli Animal Collective).

Per forza di cose gran parte degli album usciti quest’anno risentono di quanto abbiamo vissuto nel 2020 (e che ancora stiamo vivendo): Fatigue, a partire dal titolo, non fa eccezione, anzi la sua intimità da cameretta rende perfettamente il senso di isolamento che tutti abbiamo provato; il futuro non è prevedibile e allora limitiamoci al presente, giorno dopo giorno: bene, L’Rain è riuscita a condensare tutto ciò in maniera esemplare.

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