Lotic, un "negro antiproiettile"

Il primo album di Lotic, produttore texano a Berlino, è una sfida ai generi (musicali e non)

Lotic
Disco
pop
Lotic
Power
Tri-Angle
2018

Questione di genere. E non parliamo di musica. Gay dichiarato, il ventottenne afrotexano a Berlino J’Kerian Morgan, che per pseudonimo ha scelto l’aggettivo riferito all’habitat delle acque correnti, Lotic, mette le cose in chiaro nel brano incaricato di fare da apripista al suo album d’esordio, “Hunted”: “Pelle bruna, struttura mascolina, la testa è un bersaglio, agendo da vera femmina, falli vomitare”, detto sussurrando mentre intorno cresce l’intensità del groove, prima che il ritmo si spezzi.

In precedenza – nel paio di EP datati 2015 – non aveva usato mai la voce, limitandosi ad architettare geometrie elettroniche dagli spigoli vivi, e qui invece – oltre a intonare i versi, emulando quasi Nina Simone nella conclusiva “Solace” o divenendo rapper sulla cadenza spettrale di “Nerve” – aggiunge persino un pizzico di melodia (minima ma delicatissima fra arredi ambient da thriller in “Fragility”), insieme all’eco dei recenti ascolti cameristici (gli arpeggi d’archi artificiali nell’iniziale “Love And Light” e un pizzicato digitale in “Distribution of Care”).

Riaffiorano comunque a tratti le angolosità dei primi tempi, le stesse che lo rendono “terrorista da club” quando fa il DJ nei ranghi del collettivo Janus: in “Bulletproof” (dove afferma con sfacciataggine: “Sono un negro antiproiettile”), “The Warp and the Weft” o nell’impazzimento nevrotico del pezzo che dà titolo al disco un’analogia possibile è con la footwork d’avanguardia di Jlin. Ispirata per sua ammissione alle marching bands (nelle quali da ragazzino a Houston suonava il sassofono) e dal saggio autobiografico di Ta-Nehisi Coates Tra me e il mondo, Power è un’opera audace formalmente ed emotivamente, allineata – tornando al “genere” – sulle lunghezze d’onda di altri “irregolari” come serpentwithfeet e Arca.

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