L'apocalisse di The Bug
Fire segna il ritorno di The Bug, nel segno di una distopia contemporanea tra dancehall, dubstep e noise
Fire segna il ritorno di The Bug – all’anagrafe Kevin Martin – a sette anni di distanza dal precedente Angels & Devils. Ci sono voluti tre anni di lavorazione e Martin descrive il prodotto finale come «punk as fuck», influenzato dalla sbandata collettiva verso il populismo e le posizioni politiche di destra, dalla Brexit e dall’amministrazione disastrosa di Boris Johnson, per il cui giudizio negativo non è secondaria la gestione scellerata della pandemia da Covid.
Un ritorno ai suoni di London Zoo – pietra miliare del matrimonio della dancehall con il noise, un ibrido tra i suoni giamaicani e quelli del dubstep londinese –, un disco scurissimo attraversato da lingue di fuoco, in cui un ruolo di primo piano è riservato ai collaboratori coinvolti nel progetto.
L’ascolto di Fire è sfibrante sia dal punto di vista emotivo sia da quello fisico, con i bassi che mettono a dura prova l’impianto di amplificazione; viviamo tempi cupi e The Bug affronta l’aggressione messa in atto da agitatori tirannici con un suono pesante, oserei dire apocalittico.
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Il compagno di lungo corso Roger Robinson, dub poet con Kevin nei King Midas Sound, apre il disco con “The Fourth Day”, una visione distopica, e ha anche il compito di chiuderlo con “The Missing”, allo stesso tempo racconto commovente e chiamata all’azione in ricordo delle vittime della tragedia del Grenfell a Londra, nella quale 72 persone morirono nell’incendio di un grattacielo fatiscente, strage aggravata nelle sue proporzioni dal materiale isolante infiammabile installato da proprietari a dir poco disinvolti e ignorato dal governo conservatore, un episodio che è diventato un simbolo delle conseguenze mortali sulla vita di tutti i giorni di un sistema economico che prospera soprattutto in tempi di orrore indicibile.
«Credo nella rabbia in quanto forza sacra» – Kevin Martin
Flowdan, un veterano della scena grime, compare in “Pressure”, uno dei pezzi forti della raccolta, caratterizzato da un’atmosfera sonora post-apocalittica e un testo agit-prop che va diritto al cuore dei problemi: «Noi non litighiamo sulle tasse, la gente è morta, la mamma sta ancora piangendo, l’incendio avvolgerà questi aristocratici».
A seguire un uno-due che non lascia scampo: prima Irah regala con “Demon” una performance vocale sinistra su un dub digitale, poi la poetessa di Philadelphia Camae Ayewa, conosciuta come Moor Mother e membro del gruppo Irreversible Entanglements, arriva con “Vexed”, a conferma della teoria secondo cui solo i poeti riescono a gestire il peso emotivo devastante dei dubplate di The Bug.
L’ars poetica di Nazamba è parte della lunga tradizione di grandi scrittori e cantanti sviluppatasi a Clarendon, Giamaica. Seguendo le orme di Mutabaruka, Michael Smith, Oku Onuora, Linton Kwesi Johnson e Benjamin Zephaniah, Nazamba usa la penna e il suo flow per immergere gli ascoltatori nel racconto sonoro di “War”, brano in cui la rabbia è palpabile.
«I’m an upfront cannabis smoker»: Daddy Freddy non usa giri di parole in “Ganja Baby”, ode alla marijuana costruita sul ritmo digitale più diretto e immediato dell’album, un electro-riddim parente di quello conosciuto come “Sleng Teng”. È bello risentire Daddy Freddy, con Shinehead protagonista principale del fenomeno raggamuffin hip-hop della seconda metà degli anni Ottanta.
Flowdan ritorna e sgancia “Bomb”, vivida rappresentazione di frustrazione quotidiana senza speranza su un ritmo pesantissimo.
Non ne stiamo uscendo migliori, come ci veniva retoricamente ripetuto un anno fa, anzi: la pandemia e la conseguente diatriba sui vaccini hanno fatto esplodere divisioni che, in forma meno evidente, erano già presenti. È in questa ferita che si inserisce Fire, un album incendiario, rabbioso, ma dove la rabbia ha la lucidità necessaria per non farsi distrarre dai veri obiettivi: il pericolo del totalitarismo e le contraddizioni violente del capitalismo. In tempi incerti non ci deve essere spazio per la compiacenza, l’indignazione è un dovere civile.
«Il mio amore per la cultura dei sound system ha a che fare col fatto che la musica è salvezza; la musica è un modo per superare la tirannia schiacciante dell’esistenza o la stupefacente noia della vita. Assisterete a pochi show nella vostra vita che si possono definire rivoluzionari, che vi cambieranno la vita. E per me The Bug è proprio questo: un suono che può cambiare la vostra vita.» - Kevin Martin
P.S. Se siete a Londra, il 1° ottobre al Fabric ci sarà la serata “Pressure” per lanciare Fire: il consiglio è di non perderla.