A cena dai Blonde Redhead

Il trio italo-giapponese ricompare dopo nove anni con Sit Down for Dinner

Blonde Redhead
Disco
pop
Blonde Redhead
Sit Down for Dinner
Section 1
2023

Dei Blonde Redhead si erano perse le tracce: l’ultimo disco, Barragán, risaliva al 2014 e frattanto Kazu Makino (cantante e chitarrista, originaria di Kyoto) aveva debuttato nel 2019 da solista con Adult Baby.

Interpellata da “The Guardian”, lei stessa ha spiegato di recente che fare musica insieme agli altri “era diventata una sofferenza”, descrivendo il suo contrastato rapporto con i gemelli Pace, Amedeo (voce e chitarra anch’egli) e Simone (batterista), nati a Milano ma cresciuti oltreoceano.

E invece rieccoli in azione con Sit Down for Dinner: decimo album nei trent’anni esatti di una carriera avviata nel segno del rock rumorista (il nome scelto riprendeva il titolo di un brano dei DNA di Arto Lindsay concepito in piena tempesta “no wave” e l’esordio discografico fu assecondato dall’etichetta Smells Like, fondata da Steve Shelley dei Sonic Youth), dirottata poi – un paio di decenni fa – verso un approdo pop di scuola decadente, avendo quale stella polare la “meravigliosa brutalità” di Gainsbourg.

Lo spunto drammaturgico da cui ha preso forma è contenuto nel celebre memoir di Joan Didion L’anno del pensiero magico, scaturito dall’elaborazione del lutto per la morte improvvisa del marito: “Ti siedi a cena e la vita come la conosci finisce”, recita un passo ripreso nel testo di Sit Down for Dinner Pt 2, dove Makino si rivolge agli anziani genitori lontani (“So che siete stanchi di vivere, ma morire non è facile”), mentre la parte precedente – sospesa in un’ovattata atmosfera minimalista, a differenza della seconda, animata ritmicamente da una batteria elettronica – sembra alludere ai tempi della pandemia (“Tutti avevamo progetti prima di essere travolti”).

In genere, comunque, la narrazione indugia sul sentimento amoroso: in “Melody Experiment”, fra spasmi chitarristici dissimulati dall’orchestrazione evanescente, viene evocato ad esempio in maniera disincantata da un osservatorio femminile (“È buffo come si prendono le decisioni quando ci s’innamora di qualcuno”).

Il punto di vista maschile affiora viceversa in “Not For Me”, commemorando un amore perduto (“In un posto dove nessuno ti può trovare”) dentro un’ambientazione sonora adeguatamente malinconica, decorazioni di mellotron incluse, oppure in certi scorci poetici che inoculano spleen nel portamento solenne di “I Thought You Should Know” (“L’oscurità è scesa dalle tue labbra sulle mie”) e “If” (“Negli archivi del tuo sorriso vedo che non vuoi un compagno per la vita”).

Del resto, già l’iniziale “Snowman” bazzicava quell’habitat emotivo (“Solo qualcuno sa perché sei andato così lontano per scrivere una canzone d’amore”) utilizzando in chiave esistenzialista la metafora del pupazzo di neve, destinato tuttavia allo scioglimento nel confortevole calore tropicalista dell’arrangiamento (garantito dalle percussioni del brasiliano Mauro Refosco).

In sequenza arriva subito dopo “Kiss Her Kiss Her”, che a dispetto dell’entità degli ascendenti letterari (gli scritti dell’egiziana Nayra Atiya e addirittura il “mostrarsi con il cuore in mano” di Iago nell’Otello di Shakespeare) scorre ostentando astratta leggerezza: effetto replicato con squisita efficacia dal ritornello fiabesco di “Before” (“Ero una volta una bimba silenziosa che aveva già visto tutto”, canta Makino sul registro consueto della vulnerabilità).

Cosicché, a conti fatti, la cena offerta dai Blonde Redhead è tutt’altro che indigesta: genuina nell’ispirazione e di pregevolissima fattura. Prova del nove dal vivo: unica chance in Italia, il 21 novembre al Regio di Parma.

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