Carlot-ta, gotico vercellese

Il nuovo album di Carlot-ta, Murmure, è (quasi) interamente suonato su un organo a canne

Carlot-ta, Murmure
Disco
pop
Carlot-ta
Murmure
Incipit Records
2018

Se avesse un cognome che finisce in –dóttir o una backstory appena più intrigante, o – che so – i capelli blu e qualche parente con un passato nella grande canzone americana, di lei forse sentiremmo parlare più spesso. Invece, Carlot-ta (al secolo Carlotta Sillano, con quel nome di battesimo così anni Novanta) è di Vercelli, studia a Genova, ha all’attivo (a 27 anni) tre album e moltissimi concerti – anche su palchi di un certo prestigio – ma rimane tutto sommato una meraviglia periferica nella nostra canzone.

Carlot-ta è tale (e benissimo va così, intendiamoci) da diversi punti di vista. Per il suo personaggio, come si è detto. Perché canta in inglese e francese ma con testi strani, gotici, che parlano di infanzia, di fari solitari, di montagne e ghiacciai più che di scazzi generazionali. Perché in fondo è difficile considerarla in qualunque categoria codificata in Italia – “canzone d’autore”? “Indie”? Assolutamente no – eppure è, appunto, italiana, e per giunta abbastanza periferica rispetto al “giro giusto”, per dirla alla Bugo.

La decisione di fare un intero disco – questo Murmure – suonato e arrangiato su due organi a canne (veri organi a canne, di vere chiese), d’altra parte, non è certo la mossa più appealing per superare quanto detto. Soprattutto perché in questa scelta radicale (nei suoni del disco c’è poco altro: piano, arpa, percussioni, la chitarra in un solo brano) non c’è nessun compiacimento da trovarobato hipster, ma una vera ricerca musicale, quella sfida a superare i propri limiti di musicista che pochi accolgono.

L’organo nasce per imitare altri strumenti e per riempire il suo spazio, l’intero spazio della chiesa, con i suoni di un’orchestra, occupandone tutte le frequenze. Carlot-ta, senza timore reverenziale di fronte alla grande macchina da musica, lo usa come tale: non come colore, ma spolverandone ogni registro fino a quelli più strani, con effetti ora epici (“Sputnik 5”, con il suo andamento alla Coldplay), ora struggenti (il ternario di “Minstrel”, con l’arpa di Cecilia), ora ancora ironici (la “Samba macabre”). Ne viene fuori un disco strano, analogico, organico – ma al contempo alieno nei suoni e nelle atmosfere da qualunque cosa abbiate ascoltato. Un grandissimo disco. 

Murmure è stato registrato tra Italia, Svezia e Danimarca, ed è stato  prodotto a Reykjavik da Paul Evans: suonerà dal vivo, nei prossimi mesi, nelle chiese che hanno un organo a disposizione (curie permettendo), con un videomaker a riprendere e rilanciare su schermo quanto Carlot-ta fa là in alto al grande strumento, lontana dalle miserie terrene.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

pop

Akoma, il cuore pulsante di Jlin

Il nuovo lavoro della produttrice afroamericana Jlin, con comparsate di Björk, Philip Glass e Kronos Quartet

Alberto Campo
pop

Il futuro luminoso di Adrianne Lenker

Bright Future è il nuovo lavoro di Adrianne Lenker, in libera uscita dai Big Thief

pop

Julia Holter, la Sibilla di Los Angeles

Il nuovo album della cantautrice statunitense Julia Holter, Something in the Room She Moves

Alberto Campo