The Blaze, un fuoco di paglia

Quattro video che facevano ben sperare per il duo francese The Blaze, e invece l’album d’esordio Dancehall risulta deludente

The Blaze - Dancehall
Disco
pop
The Blaze
Dancehall
Columbia
2018

Lo ammetto, avevo riposto qualche (piccola) speranza in questo album del duo francese The Blaze: l’EP dello scorso anno non era male, trainato da due video molto belli, il secondo dei quali, Territory, vinse il Grand Prix in Film Craft a Cannes. Il risultato finale però è al di sotto della sufficienza.

Partiamo dall’inizio: Dancehall non ha nulla a che vedere con il sotto-genere giamaicano del reggae ma fa riferimento alle sale da ballo sorte in Francia durante la seconda Guerra Mondiale, «posti dove la gente viveva, si innamorava e ballava», come riferiscono i cugini Alric. Dopo il successo di Territory è cominciato un periodo molto intenso per i due cugini, culminato in un concerto a New York e in due esibizioni al Coachella prima e alle Plages Électroniques di Cannes dopo. Set scarni, uno di fronte all’altro, raramente uno sguardo verso il pubblico (vengono alla mente i Fuck Buttons), presentazione di versioni abbozzate dei brani che andranno a comporre Dancehall.

«Volevamo parlare di cos’è l’uomo moderno, una persona fragile che può anche piangere, essere onesta con le sue emozioni pur rimanendo virile», dice Jonathan Alric in un’intervista al New York Times. «Quando parliamo di emozioni, non vogliamo essere esclusivamente positivi. Alle volte è difficile, altre volte è semplice; può essere triste o darci felicità, ma la cosa più importante è quando riusciamo a trovare la poesia in tutto ciò»; aggiunge Guillaume Alric.

L’idea è quella di sviluppare un progetto non necessariamente perfetto ma quantomeno onesto e sincero; il tema ricorrente delle loro canzoni  e dell’estetica dei loro video è quello dell’intimità: abbattere le barriere per arrivare a comunicare sensazioni sembra essere il loro obiettivo principale.

Fin qui tutto bene, direte voi, ma il problema comincia quando approcciamo le dieci canzoni che compongono il disco. La musica house della fine dello scorso millennio mi piaceva, ascoltata all’epoca, ma nel 2018 non ha senso, a meno che non sia condita dalla giusta dose di ironia (a questo proposito consiglio l’ascolto dei lavori del duo norvegese Ost & Kjex). 

Quell’ironia che è totalmente assente in questo disco: i due si prendono maledettamente sul serio. Il piano, strumento fondamentale nella costruzione dei brani dell’epoca, saliva, saliva e poi arrivava la botta (“build and release”): in Dancehall manco quello. Se rileggo gli appunti che ho buttato giù durante l’ascolto del disco, accanto a tre brani (su dieci) ho scritto “riempitivo”. Alla fine salvo due canzoni, "Heaven", con il suo andamento sognante, e "Breath". E purtroppo anche i video sono meno interessanti, forse per un uso esagerato dello slow motion che li rende in qualche misura leziosi. In un momento in cui l’electro-pop francese sta vivendo un momento di fulgore, The Blaze, a cavallo tra electro e house, non riescono a trovare la giusta formula. Siamo a settembre, i due non hanno più tempo per gli esami di riparazione: bocciati.

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