Ben Frost, glaciale metal elettronico

Scope Neglect è il nuovo album dell’artista australiano in Islanda

Ben Frost
Disco
pop
Ben Frost
Scope Neglect
Mute
2024

Musicista australiano da quasi vent’anni residente in Islanda, il 43enne Ben Frost pare voglia raffigurare sul piano sonoro la natura selvaggia del luogo adottivo: il furore vulcanico e la glaciale impassibilità.

Esemplare è “Lamb Shift”, brano d’apertura del nuovo lavoro Scope Neglect, sesto in carriera: un riff brutale e tortuoso di chitarra elettrica viene deformato e manipolato, alternandolo a pause di silenzio e cupi scorci ambient. L’intero album vive in questo habitat: l’episodio seguente, “Chimera”, replica il medesimo canone con violenza ancora maggiore, moltiplicando echi e trasmutazioni del tema originario.

Disorientati dalla messinscena, potremmo cercare indizi di senso nei titoli assegnati alle singole tracce: “Load up on Guns, Bring Your Friends”, che suona come fosse una remota vibrazione proveniente da altre galassie, cita ad esempio il verso iniziale di “Smells Like Teen Spirit” dei Nirvana, quando in chiusura “Unreal in the Eyes of the Dead” – infestata da un basso spettrale ammantato in volute sintetiche – riprende una frase espunta dal romanzo Austerlitz dello scrittore tedesco W.G. Sebald – “Noi ancora vivi siamo irreali agli occhi dei morti” – già impiegata nel 2011 dall’artista britannico Stanley Donwood (partner abituale di Thom Yorke e Radiohead) per intestare una serigrafia.

Se questi sono gli ascendenti “letterari”, in termini musicali fa testo una chiosa introduttiva dell’autore a proposito delle “fantasticherie trascendentali dei minimalisti della West Coast”, che all’ascolto – tuttavia – contrasta con l’inoppugnabile fisionomia metallica del contenuto, stilizzata nelle sferzanti stilettate chitarristiche che solcano “The River of Light and Radiation”.

La dedizione di Frost alla muscolare fisicità del genere era stata evidenziata nel precedente The Centre Cannot Hold, pubblicato nel 2017, poco prima di una sua conturbante performance al festival “Club To Club”. Egli stesso, del resto, dichiara di prediligere l’esperienza dal vivo all’attività in sala di registrazione, benché attribuisca grande valore all’oggetto discografico: “Per me l’album è ancora un’entità sacra, ho bisogno di una ragione per realizzare un album. E in questo caso con Greg mi sembra di aver trovato il motivo giusto”, spiegava di recente in un’intervista firmata dal compianto Ernesto Assante su “la Repubblica”.

Il Greg in questione di cognome fa Kubacki ed è chitarrista nei Car Bomb, band newyorkese di “progressive metal”, mentre terzo incomodo è Liam Andrews, abitualmente bassista nel trio di Melbourne My Disco.

I due sono stati convocati ai Candybomber Studios, presso l’ex aeroporto berlinese di Tempelhof, e ripresi con tecniche microfoniche mutuate dagli esperimenti compiuti da Mark Hollis sui Talk Talk, dopo di che la materia sonora – arricchita con field recordings – è stata processata, trasfigurata e ricontestualizzata (ecco dunque la “noncuranza del contesto” cui allude il titolo).

Il risultato è un’opera enigmatica e viscerale, addirittura monumentale nell’epico pathos evocato dal crescendo sinfonico di “Turning the Prism”.

Di simile, in circolazione, troviamo soltanto l’intensità estremistica degli Swans (con i quali Frost ha collaborato in Leaving Meaning e relativa tournée) e le astrazioni metal dei Sunn O))).

Raccomandato il disco, ma soprattutto lo show, in Italia ad aprile con Kubacki e il videoartista olandese Tarik Barri: il 19 a Foligno per “Dancity Echoes”, il 20 allo Zo di Catania e il 23 alla Triennale di Milano durante “FOG Performing Arts Festival”.

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