Musica sull'Acqua a Como

Da Monteverdi a Holst

Recensione
classica
Osservazioni astronomiche dal lago di Como? L’edizione 2017 del Festival Musica sull’Acqua prometteva – peraltro senza l’uso di complicati telescopi – di avvistare le galassie più vicine e quelle più lontane di un universo artistico che sembra sfuggire sempre di più alla realtà quotidiana di tante istituzioni concertistiche. Sotto il titolo di “Costellazioni”, a partire dallo scorso 1 luglio, sono stati esplorati particolari repertori, appartenenti a un arco di oltre quattro secoli.

Repertori ai quali – come ha ricordato il Direttore Artistico Francesco Senese – è sempre un piacere accostarsi, soprattutto in un ‘festival’ che non solo vuol rendere omaggio alla radice comune con la parola ‘festa’ ma soprattutto desidera tener fede a un’idea di curiosità artistica verso ciò che è meno frequentato nelle stagioni musicali. Emblematico di questa impostazione artistica è stato il concerto che si è svolto il 7 luglio nell’Abbazia di Piona, con un programma comprendente La Voie Lactée di Christian Guyot e The Planets di Gustav Holst, brano quest’ultimo che, oltre fungere da riferimento generale per quella volta celeste sottintesa dal titolo di quest’anno, è stato proposto nell’originale versione per due pianoforti. Una vera chicca: “La versione orchestrale è talmente bella – ha sottolineato Francesco Senese – che raramente si propone quella pianistica, altrettanto avvincente e soprattutto sorprendente per l’ascoltatore di oggi”.

Ma vorrei soffermarmi maggiormente sul ‘concerto notturno’ che si è svolto sabato scorso nella incantevole cornice di Santa Maria del Tiglio, a Gravedona, col quale il festival spostato la propria attenzione verso la costellazione del Seicento Italiano, apparentemente lontana dai linguaggi più contemporanei degli altri concerti. Dico apparentemente perché si tratta di un periodo che – come accadrà poi soprattutto nel XX secolo – è oltremodo ricco di ricerca espressiva e di sperimentazioni armoniche, insomma una fucina in continuo rinnovamento. Ambientazione notturna (l’orario di inizio era alle 22.30), cielo terso e stellato, un’interprete vocale del calibro di Sara Mingardo, un programma vario e ben articolato: sono alcuni degli ingredienti che hanno contribuito a offrire un bel concerto davvero al pubblico che riempiva quasi del tutto la chiesa e che – pregato di non interrompere la concentrazione degli esecutori tra un brano e l’altro – ha riservato agli interpreti un lungo e liberatorio applauso finale. Tra gli altri brani strumentali, le passacaglie di Biagio Marini e Andrea Falconiero hanno fatto da cornice strumentale alle splendide pagine di Claudio Monteverdi (Voglio di vita uscir, Con che soavità, Il lamento di Arianna) in cui la Mingardo, non è una novità, ha saputo modulare la propria voce in mille svariate sfumature espressive, sottolineando tutte le inflessioni che i testi musicati dal compositore cremonese contenevano e arrivando a risultati di grande intensità. Merita però sottolineare anche un altro ‘ingrediente’ del concerto, offerto dalla presenza – accanto a presenze più adulte come quelle dello stesso Francesco Senese (al violino), di Simone Briatore (alla viola) e di Kerem Brera (al violoncello) – dei non pochi componenti dell’Orchestra giovanile del Festival. E’ infatti alla nuove generazioni che il Festival ha dedicato, come ormai tradizione, gli atelier all’interno dei quali è stato sviluppato tutto il lavoro, rivolto in questo caso alla musica d’insieme, di preparazione dei concerti. Tra questi giovani vorrei segnalarne in particolare uno, sedicenne, che si è distinto al flauto diritto nel proporre, insieme allo stesso Senese e al gruppo che realizzava il continuo, una celebre Bergamasca di Marco Uccellini. Una abilità esecutiva non indifferente, una freschezza interpretativa che è stata anche premiata dalla acustica di questo stupendo luogo sulle rive del lago di Como, forse ancor più favorevole quando l’organico strumentale si riduceva all’essenziale. Tant’è che – ultimo regalo della Mingardo al pubblico plaudente – il clavicembalo, suonato da Giorgio Dal Monte, lo si è finalmente sentito non solo chiaramente ma anche con una adeguata presenza di volume, proprio nel bis: Folle menti di Tarquinio Merula, voce e tastiera, ha veramente lanciato tutto il repertorio ascoltato nella serata verso un orizzonte di modernità tuttora da indagare. E così come gli astronomi non smettono di scrutare la volta celeste alla ricerca di nuove ‘costellazioni’, il Festival si appresta a coinvolgere gli ascoltatori nel ricercato programma dell’ultimo concerto, venerdì 21 luglio nell’Abbazia di Piona, che emblematicamente si aprirà con Atlas Eclipticalis di John Cage.

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