Due violini a Ravenna Festival

Onofri in Corelli e Mutter in Mendelssohn

Recensione
classica
Non sono molti - praticamente nessuno in Italia e pochi anche altrove - i festival come Ravenna, che quasi ogni giorno per oltre un mese e mezzo offre uno o più appuntamenti. Il programma alterna rarità a proposte più consuete, ma in questo secondo caso è la qualità degli interpreti a creare l' "evento" da festival. In quest'esuberante proposta abbiamo scelto proprio due concerti "normali". Ma il primo dei due - a pensarci bene - aveva un programma non poi così normale, perché anche in decenni di frequentazione delle sale da concerto può capitare di non aver mai ascoltato un "tutto Corelli", paradossalmente proprio a causa dell'attuale frenetica riscoperta del barocco: la morigeratezza delle sue Sonate e dei suoi Concerti è infatti agli antipodi della bizzarria, del virtuosismo, della stravaganza e della teatralità che fanno impazzire i "barocchisti". Però il concerto di Enrico Onofri e dell'Imaginarium Ensemble con sei delle dodici Sonate op. 5 prometteva, avendone ascoltata la loro recente incisione, la rivelazione di retroscena insospettati nella musica fin troppo tranquilla di Corelli.

Promessa mantenuta. In effetti, grattando sotto l'aristocratica compostezza del compositore romagnolo, ma senza stravolgerla, Onofri e i suoi tre compagni hanno trovato molti germi di originalità e perfino di "follia", come recitava il titolo del concerto. D'altronde sarebbe stato strano che Corelli, primo violino e direttore d'orchestra non soltanto in varie chiese romane ma anche al teatro Capranica, non avesse assorbito nulla dall'opera. E lavorò molto anche per i cardinali Pamphili e Ottoboni, che non erano degli asceti dediti esclusivamente alle pratiche devote e penitenziali e alla musica chiedevano esperienze dilettevoli e sensuali. Diversamente dalle precedenti quattro raccolte di Sonate a tre, le Sonate a violino e violone o cimbalo op. 5 puntano non tanto sull'intreccio contrappuntistico quanto sull'individualità del solista, spingendo molto avanti anche l'emulazione della cantabilità della voce umana da parte del violino. Il preludio della Sonata n. 8 è un arioso operistico nella patetica tonalità di re minore. La gavotta della Sonata n. 9 è invece un duetto comico: sì, proprio un duetto, perché il violino risponde a se stesso, come se si trattasse di due innamorati che bisticciano. Anche nella Sonata seguente si assiste a una specie di duetto comico, però in questo caso tra una giovane servetta - il violino - e un qualche Geronte o Geronio, un vecchio insomma, cui dà voce il violone. Grande è la varietà ottenuta nella realizzazione del basso continuo da Alessandro Palmeri al violoncello, Simone Vallerotonda all'arciliuto e Riccardo Doni al clavicembalo: suonavano ora tutti e tre, ora uno solo, a seconda delle caratteristiche delle varie Sonate, rivelando che il basso continuo non è indispensabile ma sostanzialmente anonimo, bensì ha una sua personalità. Se Corelli viene suonato così, si capisce perché abbia raggiunto ai suoi tempi tale fama e si può sperare che la riconquisti anche ora. Applausi convinti e meritatissimi per Onofri e i suoi tre compagni.

Due giorni dopo non si poteva perdere la Mutter, perché le cui presenze in Italia sono piuttosto rare. Sono passati esattamente quarant'anni dal sensazionale debutto della quattordicenne (!) Anne-Sophie al festival di Salisburgo, con Karajan sul podio, ma lei è sempre lei, ovviamente più matura, ma non molto diversa. Ha bel suono e tecnica sicura, ma non sono queste le qualità su cui punta: a differenza dei tanti virtuosi che arrivano a pioggia dall'oriente - e non solo dall'oriente - lei non getta in pasto al pubblico l'effimero brillio degli effetti ma costruisce la sua interpretazione su basi più solide. Nel Concerto op. 64 di Mendelssohn l'attenzione alla forma e i rapporti equilibrati tra i vari elementi esaltano lo straordinario mix di eleganza mozartiana e di empito romantico del primo movimento. L'inizio dell'Andante può sembrare troppo distaccato, ma proprio quest'avvio un po' cauto consente alla Mutter un ininterrotto crescendo espressivo, che crea una meravigliosa e poetica emozione. Nel movimento finale la leggerezza del suo violino sfida gli strumentini in un volo da elfi, memore dell'ouverture del Sogno d'una notte di mezza estate. Prima la Mutter aveva portando al successo Nostalghia, un'ampia, rarefatta composizione dedicata Toru Takemitsu alla memoria di AndreJ Tarkovskij. Accanto a lei era l'Orchestre Natonal de Lyon, un'ottima e solidissima compagine. La qualità degli strumentini confermava la tradizione francese in questo campo, ma sorprendente era la compattezza e la robustezza della massa degli archi, guidati - sia detto tra parentesi ma con una punta d'orgoglio - dall'italiano Giovanni Radivo, che noi definiremmo semplicemente "spalla" e che per i francesi è "violon solo supersoliste". Sul podio stava il direttore musicale dell'orchestra lionese, l'americano Leonard Slatkin, che ha un senso spiccato e allo stesso tempo misurato ed elegante per i colori orchestrali e dunque è un interprete ideale di Ravel, cui era dedicata tutta la seconda parte del concerto, con la Rapsodie espagnole, la Pavane e soprattutto una splendida e travolgente esecuzione della seconda suite da Daphnis et Chloé.

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