Sulle tracce della polifonia: Richafort e Gombert

Stratton Bull, direttore della Casa della Polifonia di Lovanio, racconta la musica di Nicolas Gombert

Recensione
classica

La Chiesa di San Giovanni Evangelista della Abbazia del Parco a Lovanio contiene una serie di grandi dipinti di un seguace di Rubens, Pieter-Joseph Verhagen, che illustrano la vita di Norbertus, il santo fondatore dell’ordine dei canonici regolari di Prémontré, istituito all’inizio del XII secolo. I lavori di restauro programmati fino al 2020 procedono sulla base delle ricerche dello storico e archivista Stefan van Lani, che conosce ogni angolo di questo complesso di cui è divenuto general manager.

In origine i terreni sui quali venne eretta l’Abbazia norbertina lovaniense erano una riserva di caccia del Duca di Brabante, ceduta alla comunità di canonici bianchi, chiamati così per il colore della loro tonaca. Oggi ci vivono pochissimi sacerdoti, ma le attività religiose e quelle culturali, oltre che il richiamo della natura per chi ama passeggiare o andare in bicicletta nel Parco, attirano frequentemente i cittadini di Lovanio in questa oasi di pace. Una di queste è il festival Passie van de Stemmen, che si è svolto dal 20 al 28 aprile consentendo di ascoltare compositori eseguiti di rado, come per esempio nei concerti di Huelgas Ensemble e Park Collegium.

Paul van Nevel, fondatore e direttore del primo, ha scelto di dedicare il suo programma a un compositore della generazione seguente a quella di Josquin, che è stata profondamente influenzata dall’opera del celebre musico fiammingo. «Tutta la musica di Jean Richafort è speciale, e in particolare il Requiem a sei voci. Vi è qualcosa di magico, come dicono anche i miei cantori, che sentono qualcosa che è al di sopra delle note e del contrappunto e che genera una impressione di spaziosità. Tutto è estremamente trasparente, nonostante il rapporto tra le voci sia molto contrappuntistico e nonostante le differenti variazioni di tempi e durate. Si tratta davvero di un grande compositore».

Il suo nome compare di rado nei programmi concertistici e le informazioni biografiche sono poche e frammentarie – neppure le date di nascita e morte sono certe – ma la sua attività si colloca nella prima metà del Cinquecento, fra Mechelen, Bruges e presumibilmente la corte francese. Nel suo Requiem in memoria di Josquin Desprez, Richafort ha utilizzato due cantus firmi: il primo è la melodia gregoriana Circumdederunt me, l’antifona dell’Ufficio dei defunti che Josquin aveva utilizzato nella sua dolente chanson Nymphe, nappés, e il secondo è un frammento di una canzone satirica di Josquin, Faulte d’argent, corrispondente al verso “c’est douleur non pareille” (è un dolore senza pari).

Per noi oggi non è facile riconoscere queste melodie incastonate nella trama della scrittura polifonica, ma secondo van Nevel «le persone che ascoltavano questa musica all'epoca della sua creazione erano più intelligenti di noi, e quasi certamente percepivano le citazioni delle melodie di Josquin contenute in questa Messa». Nella sua intesa attività musicale van Nevel è sempre stato alla ricerca di repertori e territori poco esplorati e le sue proposte lasciano sempre il segno.

Il Park Collegium è il gruppo residente della Casa della Polifonia ed è diretto da Stratton Bull, che fa parte della equipe della Fondazione Alamire dislocata presso questo centro, la cui sede operativa è nell’edificio della Mariapoort dalla quale si accede alla Abbazia del Parco. Con un organico variabile a seconda dei progetti in corso, il gruppo integra anche giovani cantanti di talento che stanno terminando gli studi di specializzazione nel repertorio della musica antica e in particolare della polifonia vocale, patrimonio culturale di eccellenza del mondo fiammingo. Durante il concerto dedicato a Nicolas Gombert, musico al servizio della corte dell’imperatore Carlo V, Bull ha utilizzato la formula della conferenza-performance commentando i brani del programma e offrendo più di una soluzione interpretativa, per spiegare e raccontare i dubbi e le scelte davanti ai quali ogni esecutore si trova nell’affrontare repertori musicali così lontani nel tempo e così affascinanti. Nel riassumere in questa intervista i contenuti e le osservazioni fatte durante il concerto, Stratton Bull offre interessanti spunti di riflessione utili sia agli interpreti che agli ascoltatori.

«Con il gruppo vocale Park Collegium esploriamo diversi aspetti della musica polifonica. Abbiamo scelto di cantare le musiche di Gombert esplorando diversi generi musicali, ma partendo dalle fonti originali della sue raccolte a stampa, sia con il formato a libro corale che con le parti separate, così come venivano eseguite all'epoca – e questo è più difficile per gli esecutori che sono abituati alle trascrizioni moderne. La messa Je suis desheritée richiede un certo numero di scelte relative alla esatta collocazione delle sillabe del testo in relazione alle note e alla aggiunta di diesis e bemolli che non erano scritti, ma che i cantori sapevano bene dove inserire all’epoca, e alle questioni di base dell'intonazione, del tempo e della dinamica espressiva».

«Nel concerto – continua Bull – abbiamo sperimentato diverse soluzioni interpretative, partendo da lunghi valori di durata del tactus, per poi proporre durate proporzionalmente più brevi allo scopo di far emergere i movimenti interni del contrappunto e cogliere in modo più definito le linee melodiche. Se interpretata troppo lentamente una messa può durare molto, e a anche se bella alla fine risultare noiosa. Dopo aver spiegato e fatto ascoltare al pubblico due differenti possibilità, abbiamo scelto di interpretare il Kyrie e il Gloria più velocemente. Per il Sanctus abbiamo affrontano la questione della collocazione del testo. Sia in quest'epoca che in quella precedente non era posto con grande accuratezza sotto le note, e ci aspettava che i cantori sapessero associarli correttamente. Non tutte le fonti sono scritte nello stesso modo e talvolta bisogna fare degli aggiustamenti per trovare una soluzione soddisfacente. Nel Sanctus il soprano intona una lunga melodia sulla prima sillaba della parola, mentre le altre tre voci sono sulla seconda sillaba. A prima vista si potrebbe pensare che si tratti di un errore, poiché tutti dovrebbero cantare la stessa vocale, ma abbiamo scoperto che questo contrasto crea una tessitura molto interessante, grazie ai colori vocalici della "a" e della "u", e abbiamo ritenuto che fosse intenzionale».

«Nel programma – spiega ancora Bull – c'erano anche un paio di mottetti, genere che i compositori utilizzavano per sperimentare nuove idee, e abbiamo scelto In illo tempore, sul quale Monteverdi scrisse una delle sue messe pubblicata nel 1610, chiedendoci quale potesse essere stato l'interesse del compositore italiano nei confronti di un’opera concepita oltre mezzo secolo prima. Il mottetto di Gombert è a sei parti e presenta una scrittura molto densa che richiede un attento equilibrio delle dinamiche. Durante le prove uno dei cantori si è fermato dicendo che non riusciva a sentire gli altri perché cantavamo troppo forte. Così abbiamo iniziato più dolcemente, e immediatamente è divenuto tutto più chiaro e trasparente, lasciando emergere la qualità sognante di questa musica che qualcuno di noi ha paragonato a un arazzo, con la sua complessa struttura di fili che si combinano nell'ordito e dai quali deve risaltare in modo chiaro la trama del disegno complessivo. Dunque bisogna sottolineare gli aspetti più importanti della composizione, ma saper fare un passo indietro nella tessitura quanto necessario».

«Con il mottetto a quattro voci Salvum me fac abbiamo sperimentato gli aspetti linguistici del latino, che all'epoca era pronunciato in modo differente nelle diverse parti d'Europa. Gombert era originario dei Paesi Bassi e potrebbe apparire logico pronunciare la "u" alla francese, e intonarlo con la prosodia e l’accentazione "nordica", ma in diversi punti questo non fluiva in modo naturale, così abbiamo sperimentato una pronuncia latina alla maniera italiana e tutto è sembrato più logico. All'epoca di Gombert stava fiorendo la nuova forma del madrigale, il contributo italiano dopo un secolo di polifonia franco-fiamminga, alla quale il compositore deve essersi ispirato per dare maggior forza espressiva al suo mottetto. Non si può dire se sia giusto o sbagliato, ma questa era la soluzione che ci convinceva di più, e va detto che anche le sue chansons presentano punti di contatto con la cultura madrigalistica».

«Infine – conclude Bull – partendo da una fonte manoscritta abbiamo intonato uno degli otto Magnificat basati sui differenti modi ecclesiastici. Qui ci siamo concentrati su un altro aspetto che riguarda l'interpretazione, quello della musica ficta, dell’epoca in cui le alterazioni spesso non erano indicate dalla scrittura musicale. All'inizio del brano è possibile scegliere se intonare un suono naturale o bemolle, ma in altri punti l'alterazione sembra meno opportuna. Sperimentare più soluzioni interpretative, che abbiamo proposto e spiegato al pubblico, ci ha consentito di comprendere lo stile di questo meraviglioso compositore che meriterebbe maggiore visibilità».

Alla fine del concerto di Park Collegium gli interrogativi posti da Stratton Bull durante la performance hanno stimolato commenti e piccole discussioni, che al di là del gusto o delle preferenze per l’una o l’altra versione, testimoniano l’appassionato lavoro di ricerca, oltre che il piacere del fare musica, che si respira nella Casa della Polifonia di Lovanio.

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