Glass e il suo pianoforte

Parma: ha chiuso il Barezzi Festival

Recensione
classica
Dopo l’affermazione avviata in ambito teatrale con “Einstein on the beach”, pietra miliare del teatro musicale del Novecento realizzata con Bob Wilson un decennio prima (1976) e il consolidamento di una popolarità che iniziava a travalicare i confini ristretti della musica d’avanguardia guardando a un pubblico più allargato, segnato dalla pubblicazione nel 1982 di “Glassworks”, primo disco con brani strumentali del compositore di Baltimora pubblicato dalla “major” CBS/Sony Classical, Philip Glass ha iniziato a dedicarsi in maniera sempre più costante al pianoforte “solo”. Un’attenzione che lo ha condotto a realizzare nel 1989, sempre per la Sony, l’album “Glass: Solo Piano”, che contiene composizioni dell’anno prima come “Wichita Vortex Sutra” (su una poesia di Allen Ginsberg), o “Metamorphosis” (ispirato a Kafka), oltre al brano “Mad Rush” scritto nel 1979 e tratto da una precedente composizione per organo, utilizzato in seguito per una performance coreografica di Lucinda Childs. Il primo prodotto compiuto di un percorso di approfondimento della conoscenza di questo strumento che Glass ha coltivato in maniera sempre più sistematica, la cui essenza è stata distillata nei due libri di “Studi”, presentati in forma integrale dallo stesso compositore in prima esecuzione italiana l’altra sera sul palcoscenico del teatro Regio di Parma, in occasione della serata conclusiva del Barezzi Festival.

Questa eclettica rassegna musicale ha festeggiato i suoi primi dieci anni mischiando artisti di diversi generi e stili, aprendo il cartellone con il duo Brad Mehldau-Joshua Redman – protagonisti di un concerto in cui al calore espressivo del sassofonista faceva da contraltare una misura fin troppo contenuta del pianista – passando poi ad artisti quali Benjamin Clementine, il pianista siriano Aeham Ahmad, Enzo Avitabile, Teho Teardo e Elio Germano, oltre a proposte collaterali che hanno spaziato dal rock ai suoni digitali di set elettronici, con protagonisti quali Gold Panda, AaARON, Plaid & The Bee, Clap! Clap!, Acid Arab. Una programmazione oltremodo variegata, chiusa appunto dal concerto che vedeva la presenza del compositore americano, affiancato in questa sorta di staffetta al pianoforte da tre pianisti: il russo Anton Bagatov – che il prossimo 27 gennaio eseguirà questa stessa “integrale” alla “International house of music” di Mosca – l’artista cinese Jenny Lin – protagonista, tra l’altro, del progetto “The Spirio Sessions” realizzato con Uri Caine per la marca di pianoforti Steinway & Sons – e il pianista italiano Roberto Esposito. Al centro del programma le due raccolte di composizioni connotate da una palese finalità di addestramento digitale, esercizi (“studi”, appunto) che hanno visto la loro nascita all’inizio degli anni Novanta, grazie ai primi sei brani commissionati in origine dal pianista e direttore d'orchestra Dennis Russel Davies, confluiti in seguito nel primo volume di “Études for Piano” terminato tra 1994 e l’anno successivo. Vent’anni dopo, nel 2014, Glass porta a compimento anche il secondo volume, pubblicando nello stesso anno il disco che racchiude l’integrale di questi “Etudes” grazie all’esecuzione della pianista giapponese Maki Namekawa, annunciata in un primo tempo al fianco di Glass anche in questa occasione, poi sostituita dagli altri interpreti presenti.

L’ascolto in successione dei venti studi glassiani ha disegnato idealmente il percorso stilistico del compositore americano, che ha avviato l’esecuzione del primo libro rivelando fin dalle prime note quelle reiterazioni basate sul processo additivo alla base del quale ha sviluppato gran parte della sua produzione. Un percorso che ha via via rievocato panorami e atmosfere espressive di altre composizioni – da “Changing Opinion”, canzone scritta con Paul Simon per l’album “Songs from Liquid Days”, alle colonne sonore per i film “The Truman Show” o “The Hours”, e così via – in un gioco continuo di rimandi incrociati assecondato dalla connotazione così riconoscibile della musica di questo autore. Un excursus che ha trovato nella varietà di colori strumentali offerti dai diversi interpreti uno dei caratteri distintivi di questa serata, nell’ambito della quale abbiamo colto uno dei passaggi più intensi in occasione del sesto studio del primo libro, la cui alternanza di rapide note ribattute e arpeggi è stata interpretata con precisione tecnica ed equilibrato gusto espressivo da Jenny Lin. Nella seconda parte del concerto il secondo volume ha rivelato un ventaglio di caratteri più variegato, nel quale abbiamo potuto apprezzare il quarto studio restituito con buona espressività da parte di Esposito, per giungere infine alle dinamiche più morbide e dilatate del brano conclusivo, interpretato con coinvolgimento da Bagatov. Al termine il pubblico presente ha salutato con calore tutti gli artisti impegnati, tributando un saluto particolare a Philip Glass – uno dei patri del minimalismo americano e protagonista a pieno titolo della scena musicale tra secondo Novecento e panorama contemporaneo – il quale, a quasi ottant’anni, continua a mantenere quello spirito che lo spinge sul palcoscenico a suonare la propria musica, esattamente come ha fatto fin dall’inizio della sua lunga carriera quando, tra un lavoro e l’altro come idraulico o tassista, montava la sua tastiera Farfisa in un loft della New York downtown, sparpagliando le sue combinazioni di accordi e arpeggi sul pubblico sdraiato attorno a lui.

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