Sant'Anna Arresi 3 | Libertà emblematiche

Il festival sardo saluta per il 2016 e si conferma appuntamento irrinunciabile

Recensione
jazz
Più ci si avvicina alle ultime battute della trentunesima edizione di Ai Confini tra Sardegna e Jazz più se ne comprende meglio l’essenza, anche nell’ escalation di proposte sempre più coinvolgenti. Il pretesto Zappa ottima idea, c’è chi ha rischiato il compitino, chi è andato fuori tema, chi ha letto il genio di Baltimora con personalità. Ma qui a Sant’Anna Arresi si tiene da trenta anni uno speciale laboratorio dove si verifica lo stato delle cose di ciò che chiamiamo jazz, non quello autoreferenziale e ripetitivo, ma quello pulsante che parte dalle avanguardie afroamericane fino ai suoi più recenti sviluppi progettuali anche europei. Sintetizzando il tema è: la libertà creativa.

Sul palco di Piazza del Nuraghe di libertà, in tutte le sue accezioni, visioni, se n’è respirata in abbondanza, fino a esserne inebriati. L’avvicendamento di formazioni diverse nei due set delle ultime serate rappresenta una documentazione culturale utile per una profonda riflessione. Per esempio l’affiancamento del super trio Brötzmann/Parker/Drake all’ensemble berlinese Serenus Zeitblom Oktett stride veramente. In realtà, già all’interno del trio qualcosa stride. L’urlo delle ance iperimpressioniste di Brötzmann, anche se più addolcito rispetto alle origini, si confronta con una ritmica ineguagliabile, densa, calda, poliritmica, quella di William Parker e Hamid Drake. Un’entusiasmante battaglia estetica dove ognuna tira dalla propria parte. Nessuno vince, o meglio è la musica a vincere. A questa ambientazione parossistica l’ottetto tedesco risponde con quasi silenzi feldmaniani, volumi costanti. Un rigoroso senso del collettivo, un mare quieto che si increspa lentamente sempre più, dove a rotazione i singoli strumenti emergono appena con frasi nervose, spezzate, schizzi astratti. Anche brevi dialoghi tra sezioni ma sempre in uno spazio sonoro definito.

Si può affiancare a questa serata quella che vede sul palco il progetto Battle Pieces del trombettista Nate Wolley e In Order to Survive di William Parker. Il quartetto di Wolley con Ingrid Laubrock al tenore, Matt Moran al vibrafono e Sylvie Courvoisier al pianoforte regala un set di altissima qualità, uno dei momenti più forti dell’intero festival. In una struttura musicale appena accennata la formazione costruisce un affresco elegante, misurato ma contemporaneamente radicale nei suoi aspetti atonali, ricerca di suoni inusuali, dissonanze, rumori. Tutto possiede un senso, tutto sta dentro una logica tanto elegante quanto inquieta. Un connubio esaltante. La formazione di Parker, con il fido Drake alla batteria, vede Mixashawn Lee Rozie al tenore, Rob Brown all’alto, Steve Swell al trombone e Cooper Moore al pianoforte. Un mix di grandi talenti incontenibili. Fuochi d’artificio. Qui si passa alla tradizionale rotazione di soli dopo collettivi zeppi di colori, ritmi mozzafiato. Tutto ruota intorno a una ritmica unica che non lascia un pertugio libero, stende un tappeto dalla trama fittissima, sfavillante e mosso dove le voci delle ance, del trombone e pianoforte possono liberamente correre come su prati immensi. Nel finale i volumi si abbassano e traspare un sentito, collettivo omaggio coltraniano. Emozione pura.

Difficile provare a scrivere di tutto e tutti, come fare un bilancio di Ai confini tra Sardegna e Jazz 2016, forse inutile. Dieci giorni di musica con protagonisti di grande livello che hanno reso una istantanea in tempo reale di una musica d’arte data spesso come morta ma in realtà vivacissima. Una cosa è certa: questo è un appuntamento irrinunciabile, direi necessario, per chi suona, frequenta, ama il jazz come ricerca contemporanea che senza nostalgie guarda avanti con la consapevolezza di una storia preziosa alle spalle e un futuro pieno di sorprese. Lunga vita.

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