MITO | P.D.Q. vs. Bach

Al Conservatorio di Torino I Pomeriggi Musicali alle prese con un concerto di Peter Schickele

Recensione
classica
Ci sono, nel programma di MITO di quest’anno, diverse cose. C’è una gran confusione, per esempio. Il che in molti casi può essere un punto positivo – anche se, probabilmente, può scoraggiare parte del pubblico: staremo a vedere. C’è una vocazione “divulgativa” nel senso migliore, di proporre accostate, a beneficio degli ascoltatori, musiche diverse. C’è infine, ed è un elemento da apprezzare senz’altro, una direzione artistica.

Scrivo questo, e lo dichiaro apertamente a scanso di equivoci, pur non condividendo la linea generale tracciata da Nicola Campogrande per rompere con il passato del festival: né la scelta di lasciare fuori le vecchie avanguardie, rivendicata con orgoglio dal direttore artistico, né tantomeno la chiusura a quell’ecumenismo dei generi musicali che aveva caratterizzato MITO negli ultimi anni. Eppure, e avremo modo di tornarci, in tempi di festival costruiti con il copia-incolla di “quello che c’è in giro”, una direzione artistica forte è comunque una bella notizia, e un lusso che pochi festival si permettono. La direzione artistica è a tutti gli effetti una professione artistica, appunto, e come tale è soggetta alla critica: con metafora calcistica, non basta essere selezionatori. Bisogna essere anche allenatori, e prendersi le proprie responsabilità. E di questo non si può che dare atto a Campogrande.

Negli accostamenti sul filo dei “padri e figli” che costruiscono il festival, uno dei più interessanti e divertenti è rappresentato dal concerto di ieri sera al Conservatorio Verdi di Torino: il figlio in questo caso – ha spiegato Campogrande nella sua breve introduzione alla serata – è davvero molto illegittimo: si tratta di P.D.Q. Bach, l’alter ego del compositore e “professore” Peter Schickele. Schickele, americano, negli anni novanta ha inventato (scoperto quasi immediatamente) un ventunesimo figlio di Bach (P.D.Q. appunto, acronimo per Pretty Damned Quick, che allude a un concepimento non proprio ricercato dai genitori), scrivendo e pubblicando musica che della parodia bachiana fa la sua ragione d’essere: dalla cantata Iphigenia in Brooklyn alla Grand Serenade for an Awful Lot of Winds and Percussion, dall’Oedipus Tex (un oratorio western) all’inevitabile Short-Tempered Clavier, Schickele ha suonato e inciso numerosi dischi, vincendo anche diversi Grammy come Best Comedy Record.



Il brano scelto per la serata di MITO è il Concerto per due pianoforti contro l’orchestra, affiancato a due evergreen di Bach, la Suite in re maggiore per orchestra BWV 1068 e il terzo Concerto brandeburghese. Con il risultato (di certo auspicato dall’organizzazione) che il pubblico del Conservatorio è diviso fra nerd appassionati di P.D.Q. (fra cui il sottoscritto), curiosi e pubblico occasionale venuto “a sentire Bach” (quello vero).



La musica di P.D.Q. – Schickele, comunque, trasforma un concerto “normale” (buona l’esecuzione de I Pomeriggi Musicali della Suite, non impeccabile quella del Concerto n. 3) in una serata da ricordare. Il Concerto per due pianoforti è una miniera di trovate divertenti, ma – soprattutto – un incredibile dispositivo per riflettere su che cosa ci aspettiamo dalla musica, sulla grammatica musica che possediamo, interiorizzata più o meno consapevolmente, e sui meccanismi di violazione delle norme che portano al riso. Un manuale, in sostanza, della parodia musicale, con il pezzo che si apre quasi normalmente, e poco a poco accoglie increspature, colpi spostati di triangolo o percussioni, fortissimi non preparati e del tutto incongrui, e – man mano che si procede – glissando grotteschi dei tromboni, progressioni di accordi che non finiscono mai, promesse di cadenze “tradite”… Fino a veri e propri sketch: il lancio di una monetina per decidere a chi tocchi la cadenza di pianoforte, gli orchestrali che leggono la "Gazzetta dello Sport" o si fanno selfie con il telefonino, il direttore che improvvisa passi di tip tap… Cazzeggio, sì: ma di classe, mai fine a se stesso (e anche la musica, a ben sentire, non è affatto male…). A loro agio nel ruolo (non facile) tanto il giovane direttore Alessandro Cadario quanto i due solisti, Herbert Schuch e Gülru Ensari.

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