A Perm, a Perm!

Russia: al Festival Diaghilev la Traviata firmata Bob Wilson

Recensione
classica
Perm. Ai più, non dirà nulla. Chi abbia vaghe reminiscenze del nozionismo scolastico potrebbe pensare al Periodo permiano (era geologica)… Permafrost, potrebbe essere un’altro aggancio. I più sapienti ricorderebbero che lì nacque Sergej Pavlovič Djaghilev, memorabile impresario dei Ballets Russes che tanto incisero nel percorso culturale europeo nella Parigi d’inizio ‘900… Né Molotov, come fu ribattezzata con impeto rivoluzionario la città di Perm nell’era sovietica, aiuta. Nomen omen. La città degli Urali è stata il centro di produzione degli armamenti dell’URSS, quindi città inaccessibile. Anche famigerata ‘Porta dell’inferno’ in quanto porta di smistamento dei prigionieri che da qui venivano istradati nei Gulag. Perm, sonnolenta cittadina, ad oriente della Russia europea, potrebbe essere ricordata perché è l’unica a conservare un Gulag (Gulag 36) nello sterminato paese, altrimenti un’anonima stazione tra le tante tappe della ferrovia transiberiana che corre verso Kamchacta o Pechino, qui a un giorno da Mosca. Il vero motivo di interesse è un altro. Culturale.

Nel 2011, fu invitato alla direzione artistica del teatro dell’opera che vanta una certa tradizione soprattutto nel balletto grazie alla presenza del Bolshoi che, durante l’evacuazione di Mosca, lì si rifugiò, il direttore greco Teodor Currentzis che veniva da Novosibirsk (2004-2010 direttore principale), città siberiana che vanta uno dei più grandi teatri d’opera della russia. Teatro nel più puro Stalin Baroque. Qui vide la prima la tanto discussa Aida di Dmitri Tcherniakov. Opera che fece conoscere il regista in occidente. Novosibirsk, tra l’altro, ospita il Trans-Siberian Art Festival diretto dal violinista Vadim Repim. Currentzis mise subito un’ipoteca per accettare: che potesse portare la ‘sua’ orchestra ed il ‘suo’ coro Musica Aeterna. Condizione accettata benché il teatro avesse un’orchestra stabile, da allora relegata alla stagione di danza classica… Currentzis è un direttore geniale, e come tutti i creativi cura il dettaglio. È un dandy. Il suo ufficio nel teatro è un boudoir in stile Pierre Loti: parati Art and craft, dorate poltrone Louis XVI dai velluti neri, colorati cuscini di sua creazione sul divano, uno zainetto porta LP con le code del frac di suo disegno, un flacone del profumo che ha ideato per il festival sulla scrivania… Currentzis riceve acciambellato su una poltrona come in una posa da ritratto di Giovanni Boldini mostrando gli stivaletti in pelle nera stringhe rosse di sua creazione: «Vivo nel bosco. Sintetizzo profumi. Raccolgo suoni in natura…», racconta mettendo a posto la frangetta alla De Chirico che gli cade sugli occhi. Sa di essere anticonvenzionale: coltiva l’originalità. Quella stessa originalità interpretativa che fa dell’ascolto, anche di pezzi ascoltati decine di volte, ogni volta un’esperienza nuova. Inaspettata. Ha il dono di una lettura personalissima che scava nella partitura alla ricerca di sorprendenti effetti. È sempre un affresco sonoro: un caleidoscopio di colori che si sovrappongono generando nuove immagini. Una spazialità del suono quasi scultorea ottenuta con il balletto delle dinamiche che da una plasticità al suono orchestrale sconosciuta con sorprendenti effetti di chiaro-scuro. Ogni partitura nelle sue mani diventa un’avventura musicale alla scoperta di sonorità sconosciute. La sua originalità interpretativa è molto apprezzata: fa di Currentzis un direttore cult con schiere di fedelissimi fan che lo seguono perfino qui, ai confini orientali dell’Europa.

A Perm ha l’incarico della stagione lirica e di balletto e del Festival Diaghilev estivo con l’obbligo di due nuove produzioni a stagione. La regione gli mette a disposizione 10 milioni di euro all’anno (18 titoli d’opera di cui 2 nel festival, i balletti, il festival). Un artista che fa della sua indipendenza una religione e che non accetta compromessi, pronto ad abbandonare in ogni momento non avesse carta bianca, è un fatto raro in Russia. Infatti non sono mancate le contestazioni all’indomani del debutto dell’opera Nosferatu (2014) di Dmitry Kurlyandsky da quelle frange nazionalistiche che lamentavano lo spreco di denaro pubblico per un’opera che non era nella tradizione russa…
L‘international Diaghilev Festival (giunto alla X edizione) è uno dei pochi festival in Russia, se non l’unico, che ha un respiro internazionale. Qui non sono solo orchestre russe ed interpreti russi a suonare principalmente composizioni russe. Anzi il contrario! A cominciare da La Traviata (in coproduzione con il Landestheater Linz) con la regia di Robert Wilson. Sembra una contraddizione: l’opera di Verdi che corre tutta sui ritmi della danza in mano alla staticità ieratica delle regia del gesto affettato di Wilson. Invece il risultato c’è. Lo aveva ben colto Gèrard Mortier (a cui è dedicata la produzione) che aveva osato immaginare l’inconsueto binomio. Anzi la staticità del gesto sottolinea, magnifica, il dato psicologico nel libretto. Un esempio: nel preludio del III atto, si apre il sipario su Violetta nel letto di morte, la bocca spalancata in un urlo muto alla Munch di violenza inaudita. Non potrebbe interpretare meglio la sua disperazione: “È tardi!”. E Currentzis a sostenere le emozioni con una musica di profondità viscerale che strappa quel grido muto dalla bocca di Violetta. Straziante. Di grande impatto. Violento. Emozionante… Ma tutta l’opera è un gioco di rimando tra palcoscenico (regia) e buca (interpretazione musicale) in una lettura quasi freudiana del dramma dell’amore costretto all’auto-negazione. Ping pong che trova una sinergica amplificazione nella celebrazione dell’immobilità algida del gesto scultoreo wilsoniano e la spazialità fisica, volumetrica dell’orchestra che prende per mano l’ascoltatore conducendolo nelle stanze segrete dei sentimenti della tormentata Violetta.

Chi mai avrebbe pensato sbarcando all’aeroporto di Perm, una striscia di asfalto e poco più che un nastro per ritirare il bagaglio, che si sarebbero provate tali e tante emozioni? Inoltre anche il cast era eccellente Nadezhda Pavlova (Violetta) dall’acuto d’acciaio, ben impostato che fende l’aria come una lama, affronta l’agilità in souplesse come la liricità del terzo atto sempre con un’espressività mirabile. Buona la dizione ma ci deve lavorare ancora un pelino, e poi potrà competere con le italiane. Alfredo (Airam Hernandez) ha il timbro del giovane Pavarotti, una dizione che nemmeno in Italia, voce morbida di velluto così come Germont (Dmitris Tiliakos) altrettanto bravo da domandarsi perché i direttori artistici dei teatri italiani non guardano ad est? Per non parlare di coro ed orchestra da sogno…

A parte la produzione fiore all’occhiello di Traviata, gli altri appuntamenti del festival. Il recital del giovane pianista Lucas Debargue sulla cresta dell’onda, la Liederabend con l’eccellente baritono André Schuen accompagnato al pianoforte da Daniel Heide: voce morbida e virile. Una serata singolare all’insegna dei madrigali di Cipriano de Rore, interpretata dagli eccellente gruppo belga Concert de la grande voi diretto da Björn Schmelzer con il pubblico accovacciato intorno su cuscini sul pavimento in una sala tipo the stationery di New York. Pubblico entusiasta si spella le mani in applausi interminabili nonostante l’ora tarda (il concerto era iniziato alle 22.15!). Si scopre una scena insospettabile a Perm con giovani come in qualsiasi capitale europea… Infine un pezzo di una bellezza siderale: Tristia, opera corale che il Festival ha commissionato a Philippe Hersant che ha musicato i testi tra gli altri di Osip Mandelstam che finì i suoi giorni in un Gulag sovietico. Una musica che viene dal profondo, che fa entrare in risonanza i precordi. Emozionante.

A Perm, a Perm!

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