Trilogia per Mandela

Al Ravenna Festival in scena Mandela Trilogy

Recensione
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Quello che rimane dopo aver assistito a Mandela Trilogy, lavoro di teatro musicale andato in scena in prima esecuzione nazionale nell'ambito del Ravenna Festival, è innanzitutto la potente e plastica espressività di uno spettacolo capace di raccontare in due ore la vita di un uomo-simbolo come Nelson Mandela, rievocandone la cifra sociale, culturale e politica. Un segno netto, che ha caratterizzato una messa in scena viva e vivace, abitata da attori-cantanti il cui coinvolgimento era direttamente proporzionale alla carica interpretativa offerta al pubblico del teatro Alighieri, catturato dall'efficacia di un'esecuzione decisamente coinvolgente e trascinante.

Una proposta che ha offerto una miscela stilistica capace di unire musica popolare, stilemi da songbooks americani (l'originale del 2010 era una forma di spettacolo di canzoni chiamato appunto African Songbook) e opera contemporanea, innestando proprio sulla base di quest'ultima connotazione stilistica atmosfere armoniche e tessiture vocali che, specie nel primo atto, parevano favorire una sorta di contrasto espressivo con la narrazione dedicata alla giovinezza di Madiba, trascorsa nel Transkei presso il popolo Xhosa, tra riti di iniziazione e trasfigurazioni di canti tradizionali.

Una drammaturgia eclettica, compilata con estro e dedizione da Michael Williams, curatore di libretto e regia, nutrita dalle musiche originali composte da Péter Louis van Dijk per il prologo, primo e terzo atto, e da Mike Campbell, impegnato nel secondo atto a rievocare un'atmosfera da musical mescolando rimandi diretti a brani popolari come, tra gli altri, la celebre "Pata Pata" di Miriam Makeba o "Come to Kofifi" di Todd Matshikiza, accompagnando così la narrazione degli anni da “santo e peccatore”, per usare le parole dello stesso Mandela, passati tra i cinema e i jazz club di Sophiatown, ad ascoltare jive, a destreggiarsi tra mogli e amanti e, soprattutto, a coltivare quella fiera e indomita protesta contro l’apartheid che lo porterà a passare quasi trent'anni in carcere, prima di diventare il primo presidente di colore del Sudafrica.

Ed è proprio quest'ultima parte della vita di Mandela che prende una forma più asciutta e narrativa del tratto finale di questo lavoro dove, oltre alla protesta senza compromessi, emergono i contrasti con la seconda moglie Winnie, dovuti a una diversa lettura della lotta. Un profilo del premio Nobel per la Pace che emerge da questa trilogia con screziature molto umane e che rappresenta uno degli ingredienti più efficaci di una narrazione che sulla carta poteva rischiare di indulgere in una certa retorica, ma che ha saputo allontanarsene proprio in virtù di una varietà di livelli narrativi e stilistico-musicali che ne costituiscono la vera essenza.



Un mondo espressivo ben restituito da tutti gli artisti impegnati, a cominciare dalle tre voci maschili che hanno tratteggiato il profilo del protagonista nei diversi passaggi di età: Thato Machona, Peace Nzirawa e Aubrey Lodewyk. Da citare anche Mandisinde Mbuyazwe nei panni del Capo Xhosa. Tra le interpreti femminili particolarmente intensa e adatta alla parte è parsa Candida Mosoma nei panni della fascinosa soubrette Dolly Rathebe, mentre un carattere più uniforme ma non meno efficace è stato offerto dalle altre interpreti: Tina Mene (madre di Mandela), Pumza Mxinwa (Evelyn, la prima moglie), Siphamandla Yakupa (Winnie, la seconda moglie). Coinvolgente la prova del Cape Town Opera Voice of the Nation choir mentre Alexander Fokkens (presente sul podio sabato 11, in alternanza per le altre recite con Tim Murray) ha saputo guidare con la giusta misura l’Orchestra Giovanile Cherubini in un repertorio forse insolito, ma sicuramente divertente da interpretare. Tanti e convinti gli applausi alla fine.

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