La mente senza musica

L'illustre assente dei festival dedicati alle scienze - umane e non

Recensione
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Si è appena concluso a Sarzana il magnifico Festival della Mente, diretto da Giulia Cogoli, che a Pistoia quest’anno aveva inaugurato anche il Festival dell’Uomo: occasioni preziose e coinvolgenti per riflettere sui rapporti tra antropologia, scienza, arte, linguaggio. Il successo clamoroso di pubblico di queste iniziative (peraltro organizzate in modo impeccabile) segnalano che c’è presso il grande pubblico un grande bisogno di spazi di riflessione e approfondimento intorno a questi temi. In questi festival si parla di tutto: arte visiva, letteratura, satira, antropologia, genetica, fisica, tecnologia, letteratura, psicologia, neuroscienze. Ma la musica è quasi del tutto assente. O meglio: c’è ma non è oggetto di riflessione, bensì momento di spettacolo e di intrattenimento, o di significativa cornice per altre tematiche, come ha fatto Gian Antonio Stella nel suo spettacolo a Pistoia. Tuttavia in questi festival la musica non entra mai nel dibattito scientifico o antropologico; non è oggetto di riflessione o occasione per gettare dei ponti verso altre discipline. Essa sembra invece ridotta a occasione ludica, a momento di pur nobile spettacolo: dopo una faticosa giornata di conferenze ci andiamo a sentire un bel concerto, meglio se di un cantante di successo o con una voce recitante, ché la parola aiuta sempre...
Eppure la musica è più di qualsiasi arte capace di superare gli approcci settoriali e suggerire campi di ricerca inediti. A casaccio: il rapporto tra mente e corpo, l’evoluzione dei linguaggi simbolici, il funzionamento del cervello, la psicologia delle emozioni, il rapporto tra universalia e diversità culturale, la creatività… Con il vantaggio, rispetto alla letteratura o alle arti visive, di essere una forma espressiva in cui corporeità e concettualità - ammesso che oggi questa distinzione abbia ancora un senso - si integrano come in nessuna altra arte e quindi di essere un veicolo potentissimo per rivelare certi aspetti profondi del nostro essere. È vero che questo tipo di ricerche non hanno molto corso in Italia (anche se le cose stanno cambiando), ma gli autori prestigiosi da invitare non mancano, a partire da Daniel Levitin, di cui da noi sono usciti ben due libri, ai tanti eccellenti antropologi della musica nostrani, dotati di ottime capacità divulgative. La sensazione è che in questi festival la musica - come pure il cinema - latiti nei dibattiti per una carenza culturale degli organizzatori, specchio della carenza più ampia di consapevolezza musicale in questo paese. E poiché questi festival hanno una forza culturale notevole, sarebbe magnifico se sapessero aprirsi alla più antica, originaria e seduttiva delle forme espressive: la musica.

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