Sentito qualcosa di interessante?

La dodicesima edizione di Babel Med a Marsiglia

Recensione
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“Hai sentito qualcosa di interessante ieri sera?”, in varie lingue o miscugli di lingue, è la frase standard per rompere il ghiaccio. Ci sono diversi modi di rispondere. In una fiera, dove ci si conosce e ci si giudica nel giro di un rapido giro di battute, è molto importante saper rispondere nel modo giusto: per chi vende o compra concerti (io sono piuttosto un osservatore) è addirittura una skill essenziale. La risposta giusta può aprire le porte giuste.

Ci sono gli snob radicali, che rispondono semplicemente “no”, a sottintendere che la selezione artistica non è all’altezza, e che tanto ci sono sempre le stesse cose. Negli anni, in effetti, molte delle proposte di Babel Med (e del circuito world in generale, di cui Babel è specchio fedele) sembrano ricondurre a prototipi che si ripetono con qualche differenza: il gruppo provenzale, il gruppo pugliese, il gruppo africano che vive in Francia, la cantante di Capo Verde, la vecchia gloria, qualcosa sulle primavere arabe, un brasiliano un po’ malinconico, un africano in costume tipico che suona una chitarra elettrica...

Ci sono poi i trasgressivi, che rispondono “no, ero a cena”. Uno dei tòpos delle fiere internazionali è che la ristorazione non è mai all’altezza, e dopo una giornata passata a sgraffignare stuzzichini agli stand uno vuole solo sedersi e mangiare per bene. Marsiglia è una eccezione solo parziale, perché il cibo in fiera è decente – ma purtroppo i ristoranti del centro sono davvero ottimi. Rispondere “ero a cena” farà intendere al vostro interlocutore che siete uno che in fiera lavora sodo, che ama i piaceri della vita, che conosce la città e che tanto agli showcase ci sono sempre gli stessi (il gruppo provenzale, il gruppo pugliese…).

Una variante è della stessa risposta è: “no, non sono venuto perché nel tal locale della Plaine suonava il tale musicista”, che sta a significare che il vostro interlocutore conosce bene la scena locale, e sa andare oltre le proposte del mainstream world, che poi sono sempre le stesse (il gruppo provenzale, il gruppo pugliese…).

Ci sono poi gli snob più convinti, che rispondono secchi: “ho visto solo tizio”. Sta a significare che hanno gusti ben precisi e raffinati, che in fondo un po’ disprezzano il gran calderone della world music, e che la loro preferenza va a determinati singoli artisti di talento che già conoscono. Perché, in fondo, agli altri showcase ci sono sempre gli stessi (il gruppo provenzale, il gruppo pugliese…).

Infine ci sono i bulimici, che passano da una sala all’altra (a Babel Med, negli splendidi spazi degli ex magazzini portuali dei Docks des Suds, sono tre i palchi attivi contemporaneamente) e cercano di vedere un pezzo di tutto. Interrogati, offrono un sintetico riassunto di quello che hanno sentito anche solo per pochi secondi. Anche se – lo ammettono loro stessi – ci sono un po’ sempre le stesse cose.

Io naturalmente appartengo all’ultima categoria. Dunque, ho sentito qualcosa di interessante? Sì, naturalmente. Non certo “le stesse cose”, ma pur nella varietà “globale” e nella qualità che una fiera come Babel Med sa offrire, è mancato il colpo di fulmine, la cosa che non si conosceva, nuova, fresca, fuori dagli schemi.
Ecco allora una selezione per categorie, per rispondere alla domanda sopra enunciata.

Nella categoria “il gruppo provenzale” molto bello il progetto Sirventés, dedicato al repertorio dei trovatori, riletto con suoni acustici “mediterranei” con oud e percussioni (rispettivamente di Grégory Dargent e Youssef Hbeisch). La voce, inconfondibile, è quella di Manu Théron, gran signore del repertorio marsigliese (con Lo Còr de la Plana): la sua presenza, forte di una ricerca ormai decennale e di un carisma riconosciuto, rende nullo ogni tentativo di discorso su rapporto filologico/non filogico con il repertorio, ed è un bene.



Nella categoria “il gruppo pugliese”, che a Babel Med raramente è mancato negli ultimi anni, si piazzano bene i Kalàscima (ne avevamo parlato qui), di ritorno senza passare dal via dal South By Southwest in Texas, e ancora un po’ frastornati dal jet lag. Cosa che, c’è da dire, non ha avuto ripercussioni sulla loro performance del sabato, sotto il tendone del palco Cabaret: il loro è stato senza dubbio uno dei concerti più applauditi di Babel Med 2016, con un pubblico giovane e che ha coinvolto ben oltre i soli addetti ai lavori (c’è da dire che a Babel il pubblico esterno è sempre numeroso, soprattutto il sabato).
Il genere del gruppo (un sestetto con solida sezione ritmica, organetto, fiati vari, corde, basso e elettronica) si definisce come Psychedelic trance tarantella, come da titolo del loro recente disco. Ora, l’idea – se di “idea” si può parlare – di proporre repertorio pugliese (e salentino in particolare) “attualizzandolo” con l’elettronica non è particolarmente nuova (qualche nome: Mascarimirì e Nidi d’Arac, senza voler dimenticare nessuno). Stupisce, casomai, che gli stessi musicisti quasi mettano le mani avanti sul tema, come se temessero obiezioni o stupore da parte degli interlocutori, almeno da parte di quelli italiani. Se ne è chiacchierato informalmente anche al pomeriggio, insieme al gruppo e al collega Ciro De Rosa: in realtà la scena pugliese ha ormai una maturità tale che ci si dovrebbe stupire piuttosto del contrario – ovvero, se non ci fossero progetti di qualità che propongono linguaggi nuovi associati alla musica “di tradizione”, come avviene in molta parte del mondo.

In effetti, i buoni riscontri all’estero che questi gruppi ottengono grazie all’appoggio costante di Puglia Sounds (che anche a Babel era fra le realtà con il maggior numero di delegati) sembra suggerire che si dovrebbe andare oltre alla retorica delle musiche “contaminate con l’elettronica”, o della “musica popolare contemporanea”: progetti di questo tipo girano da anni nel circuito delle musiche del mondo, senza che (quasi) nessuno degli artisti interessati si senta in dovere di giustificarsi o specificare… Oltretutto, nei Kalàscima, l’elettronica non è tanto un valore aggiunto o un elemento di originalità in sé, ma piuttosto una componente fondante di un bel suono di insieme, di un bel “tiro” e di un bell’interplay, che funziona nettamente meglio dal vivo di quanto non lasci suggerire su disco. Il progetto ha una solidità che non è quella di un gruppo assemblato per piacere al pubblico, ma che ha direzioni stilistiche piuttosto chiare (piacciano o non piacciano). Di ottima resa l’impasto delle voci, e alcuni soluzioni armoniche e ritmiche che portano i materiali popolari verso un suono “pop-world”.



Da quando il ministro della cultura di Capo Verde è il “mitico” Mario Lucio (presente a Marsiglia), le perle musicali dell’etichetta Lusafrica circuitano ancora più di un tempo: l’ultimo prodotto della scuderia di Jose Da Silva – nella categoria “la cantante di Capo Verde” – è la giovanissima Elida Almeida (classe 1993). Lontana dalle malinconie della morna (il genere più banalmente associato con il repertorio capoverdiano), la Almeida propone un set leggero, ritmato e piacevole, con una buona band di turnisti sincronizzati su un sound afro-pop generico. La differenza la fanno alcune canzoni, che mostrano una buona padronanza dei codici del pop, anche più che del repertorio isolano.



Nella sezione “primavere arabe” il premio va agli algerini Djmawi Africa, che avevo già intercettato qualche anno fa a uno dei primi Medimex. Molto più interessanti dal vivo che non su disco, il gruppo (come nel caso dei Kalàscima) mostra una pasta d’insieme che rivela la maturità del progetto: sezione ritmica che non perde un colpo, fiati, chitarra elettrica e guembri, vocazione ora progressive, ora funk, ora persino ska, il miscuglio del gruppo sa andare oltre gli stereotipi che l’etichetta di genere gnawa fusion con cui vengono presentati sembrerebbe suggerire. Molto meglio del pur divertente set dei marocchini Ribab Fusion, fra soluzioni vagamente cubaneggianti (o santaneggianti), e incentrato soprattutto sul ribab (strumento ad arco di area nordafricana) elettrificato del leader Foulane Bouhssine (sottocategoria: categoria “strumenti tradizionali elettrificati”, che tanti campioni ha regalato alla world music negli anni).

In analoga categoria anche l’“arabian rock” dei Temenik Electric: energico lo show, anche se i per i miei gusti i suoni elettrici e elettronici rimangono sintonizzati su un gusto anni novanta un po’ fuori tempo massimo (un po’ in zona Primal Scream, per intenderci).

Il ruolo di “vecchia gloria” tocca invece a Imhotep, paladino locale: il franco-algerino Pascal Perez era il dj degli IAM, gruppo chiave della scena marsigliese e in generale dell’hip-hop francese (e europeo) alla fine degli anni Ottanta. Il suo attuale progetto – con dei visuals di grande impatto – propone una sorta di itinerario di sapore trip-hop fra varie musiche vintage mediterranee, mixate con suoni e spazi dub, ampi e rallentati. Sbagliata forse la collocazione nel palinsesto, a fine serata, quando il pubblico avrebbe ambito a qualcosa di meno ipnotico e più danzereccio, ma il progetto rimane di grande livello.

Per la categoria speciale “accostamenti improbabili che però funzionano”, da segnalare i bretoni Turbo Sans Visa, che tengono insieme una dj, un vj, la voce tradizionale dell’ospite Eric Marchand, un rapper nero, un fiatista e una vocalist incinta: suono mondialista e da ballare, ma originale e fresco, fuori dalle piste (da ballo) più battute.
Considerazione che si applica anche al dj portoghese Rocky Marsiano, che ha costruito un set coraggioso, fatto di brani afro-brasiliani (e dintorni) con campioni e pattern ritmici “storti” eppure sempre ballabili: una delle cose più interessanti sentite.



Altre categorie sparse, da citare: “Brasile maliconico” per Tiganá Santana, con un intenso set acustico (forse un po’ troppo monocorde). Fra le “cantautrici”, bene la latino-québecoise Alejandra Ribera. Bene gli scozzesi Breabach. Non troppo convincenti i venezuelani La Gallera Social Club, nonostante qualche buona trovata. Da annotare le voci del fadista Ricardo Ribeiro e della greca María Símoglu, quest'ultima con un repertorio acustico di materiali rebetici.

Alla fine, a tirare le somme fra tutte le categorie, vince alla grande uno dei nomi più noti del lotto proposto da Babel Med 2016: i turchi Baba Zula. Lontani anni luce da ogni ammiccamento esotico o etnico, il collettivo di Istanbul incentrato sul suono del saz elettrificato propone un set di cavalcate psichedeliche ipnotiche e interminabili, con il leader che si aggira fra il pubblico suonando in una festa anni settanta. Oltre ogni genere, fuori di ogni categoria.

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