Beethoven a San Paolo fuori le mura

A Roma Blomstedt e i Wiener

Recensione
classica
Quello con i Wiener Philharmoniker resta senza dubbio l’appuntamento più prestigioso del Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra. Fin dalla prima edizione del 2002 i Wiener sono l’orchestra in residence del Festival, sarà un segno dei tempi che nel 2015 si trovino inseriti in un programma dove compare anche Giovanni Allevi, del quale – nell’ultimo appuntamento, il 4 novembre – verrà presentata in prima italiana la “Toccata, Canzona e fuga in re maggiore per Organo a Canne”. Indicazione prudente ai giorni nostri, ci avesse pensato pure il grande Bach avrebbe forse evitato che le tastiere elettroniche si impadronissero, seppur sporadicamente, dei suoi capolavori.

Ma torniamo al concerto che, nella Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, ha visto all’opera la formazione viennese diretta da Herbert Blomstedt, presente un folto pubblico stile “Urbi et Orbi”, vista tra l’altro anche la presenza dei Principi del Liechtenstein e di numerosi invitati stranieri. Di Beethoven ultimamente a Roma ne circola abbastanza, tanto più dunque l’esecuzione dei Wiener è arrivata a proposito, per poter avere un punto di vista altamente qualificato, vista la lunghissima e prestigiosa storia dell’orchestra, protagonista – sotto diverse bacchette – di non poche integrali beethoveniane. Due Sinfonie, l’Ottava e la Settima (secondo l’ordine di esecuzione), ma un’unica impressione, percepibile sin dalle prime note del concerto: l’alta densità del suono, che unita a compattezza, precisione e sensibilità di tutti gli orchestrali, hanno posto le basi per un’ascolto di altissimo livello, nonché di enorme piacere per i presenti. Poter sentire il peso specifico degli strumenti ad arco, tra i quali evidentemente chi siede all’ultimo leggio suona con lo stesso impegno di chi è in prima fila, pare sia una dote meno rara oltralpe, ma – insieme all’eccellente resa delle altre sezioni dell’orchestra – costituisce la premessa per poter restituire fin nei minimi dettagli la partitura beethoveniana. Malgrado l’età Blomstedt ha mostrato una invidiabile dinamismo nel guidare i Wiener, dando slancio ai tempi veloci di entrambi i lavori ma senza mai lasciarsi intrappolare in una corsa che privasse la musica di tutte quelle sfumature che l’agogica comunque richiede. Così, per esempio, nel movimento conclusivo della Settima si sono potuti chiaramente percepire quei momenti in cui il discorso musicale è ritmicamente meno incalzante e, conseguentemente, è risultata ancor più trascinante la sezione finale. Per il secondo movimento della stessa Sinfonia, l’Allegretto, Blomstedt ha preferito un’andatura equilibrata, che non forzasse, causa la velocità, il carattere espressivo della musica, mentre nel celebre Scherzo – forse unico appunto che gli si può muovere – ha scelto un tempo particolarmente brioso, dimenticando per un momento il luogo in cui si trovava.

Già perché rimane comunque inevitabile constatare come sia un peccato dover ascoltare i Wiener Philharmoniker in uno spazio come quello della Basilica di San Paolo fuori le Mura, che, se all’occhio offre tutta la sua ricchezza artistica e allo spirito comunica un forte senso religioso, all’orecchio consegna la musica con almeno cinque interminabili secondi di riverbero. Ma, evidentemente, se in un Festival di Musica e Arte Sacra si parla di ‘peccato’, è soltanto al Padrone di casa che poi si dovrà rispondere.

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