Ruhrtriennale 2: la mistica dei suoni

Tra Wagner e Nono

Recensione
classica
Fin dalla sua fondazione il policentrismo è una caratteristica costitutiva della Ruhrtriennale, però mai come in questa edizione la Ruhrtriennale è stata così priva di centri geografici e tematici. Johan Simons confonde i generi, contamina le tradizioni, spariglia le classificazioni e confonde lo spettatore. Lo spaesamento è già nel carattere di quel territorio, un melting pot di diverse etnie, lingue, volti, paesaggi urbani. Spiazzante è anche la scelta di mettere in scena un classico come Wagner e per di più con un Rheingold come lavoro a se stante. Certo nel Rheingold ci sono tutti gli ingredienti per farne un’opera inevitabilmente legata alla Ruhr: il grande capitale che sfrutta, miniere, tensioni sociali, disastri ecologici e via dicendo. E la cornice grandiosa è la spettacolare struttura della Halle 3 nella Jahrhunderthalle di Bochum nella quale la scenografa Bettina Pommer costruisce una grande struttura su tre livelli: nella parte bassa le rovine di una costruzione sontuosa in parte sommersa dall’acqua, al centro il vasto palcoscenico per l’orchestra, e nella parte alta sospeso nel fitto reticolo di tubi di un ponteggio il cubo bianco solcato da linee classicheggianti del Walhalla. Nei vasti spazi industriali della Ruhr allestimenti non convenzionali sono d’obbligo e non si fermano alla scena. Mika Vainio, già anima con Ilpo Väisänen e Sami Salo del gruppo techno Pan Sonic, lavora a paesaggio sonoro che, più che sovrapporsi, complementa la musica di Wagner. L’“Urklang”, l’accordo di mi bemolle maggiore che apre l’opera, è già nell’aria, impercettibile, e accompagna lo spettatore molto prima di quello delle 136 battute della partitura wagneriana. Nell’acquitrino del mondo di sotto Alberich (Leigh Melrose di animalesca fisicità) striscia, inseguendo le figlie del Reno, spinto da pulsioni incontenibili. Erda (Jane Henschel, presenza di lusso) Prima il sesso e quindi l’oro. Nel mondo in alto gli dei si dilettano nel nulla assoluto. Il semidio Loge (Peter Bronder, crepuscolare e insinuante) architetta l’imbroglio e convince all’impresa Wotan (Mika Kares, dalla vocalità fresca). Gli incudini wagneriani riverberano nell’elettronica avvolgente di Vainio e risuonano nei colpi di martello degli orchestrali che, lasciato il loro posto, si distribuiscono ovunque nella grande sala. Il cameriere di Wotan smette la livrea e si lancia in proclami sulla fine del capitalismo urlati al megafono: siamo fra il proletariato del Nibelheim. L’inganno del grande capitale vince sulla megalomania di Alberich, che, sconfitto, maledice l’oro e chi lo possederà. Con l’oro si riscatta Freya ma c’è già una vittima e, tanto per chiarire le idee al figlio Wotan, arriva terribile il monito di Erda. Gli dei sono pronti a entrare nel Walhalla, che però non si apre e intanto Loge gioca con il fuoco… Johan Simons, qui anche regista, trova finalmente quell’ispirazione che nell’ “Accattone” inaugurale si faticava a vedere. Licenze a parte, firma una regia che ha il grande pregio della chiarezza e soprattutto del prendere il Rheingold come lavoro autonomo e non come il “prologo di”. E centra anche l’obiettivo dichiarato di fare una “creazione” ai confini fra i generi opera, teatro, installazione artistica e rito. A presiedere il rito chiama Teodor Currentzis, il direttore che più di tutti oggi concepisce la musica come esperienza mistica. “Voglio far vivere un nuovo tipo di orchestra, una specie di ordine monastico musicale o una fratellanza di musicisti”, dice Currentzis della sua lavoro con MusicAeterna, sua divina creatura installata nel teatro di Perm, del quale Currentzis è direttore artistico. L’intesa fra il direttore e i suoi musicisti è perfetta. Il risultato si sente ed è straordinario: raramente capita di sentire un’interpretazione tanto intensa in cui di ogni elemento si coglie pienamente il senso drammaturgico. La parola stessa è esaltata, sostenuta da una tensione musicale insolita e una qualità di canto di livello elevatissimo, nonostante (o forse proprio per) l’assenza di specialisti wagneriani in locandina.

Richard Wagner a Luigi Nono: connubio impossible? Eppure l’utopia di un teatro invisibile li lega. Wagner si limitava a vagheggiarla, ma Nono la realizza un secolo più tardi con il suo Prometeo, la “tragedia dell’ascolto” che Ingo Metzmacher ha fatto rivivere fra le volte della Kraftzentrale del Landschaftpark di Duisburg. Come in Wagner l’idea scaturiva dal conflitto fra ideali estetici alti e i limiti della loro realizzazione materiale, anche in Nono il superamento dell’idea di un teatro visibile nasceva dall’insoddisfazione. “Un grosso elefante di mezzi, di tutto. È incredibilmente limitato”, disse di Al gran sole carico d’amore. Dare una forma scenica al lavoro di Nono sarebbe evidentemente tradirne l’ispirazione. Non tradisce l’allestimento di Eva Veronica Born, che si allinea alla tradizione inaugurata dalla mitica arca di Renzo Piano per la prima esecuzione del lavoro nella veneziana Chiesa di San Lorenzo. Il pubblico è al centro su spartanissime panche di legno e gli esecutori distribuiti su palchi a diverse altezze attorno alle quattro pareti dello spazio chiuso ricavato all’interno dell’enorme navata della Kraftzentrale. Più teatrale è invece il percorso nella nebbia (molto veneziana) che si percorre per raggiungere lo spazio destinato alla musica. Rainer Casper aggiunge un disegno luci che scandisce discretamente il passaggio fra le diverse sezioni del lavoro. L’esecuzione a Duisburg non è certo una riscoperta di questo lavoro: la partitura di Nono è ben presente nei cartelloni di sale da concerto e teatri tedeschi. Così come non è una scoperta per l’Ensemble Modern, perfetto come sempre, per André Richard responsabile del suono e supervsiore del progetto musicale, e soprattutto per Ingo Metzmacher, che frequenta questa partitura da oltre vent’anni, coadiuvato alla direzione da Matilda Hofman. A trent’anni dal suo battesimo, questo Prometeo ha ormai la statura di un classico del ’900 che mantiene intatto il senso dell’avventura nella mistica del suono puro. E intatto è l’ideale di progresso e rinnovamento che porta il suo eroe immateriale Prometeo. “Non ci sono sentieri, c’è solo il cammino”: il cammino della Ruhrtriennale riprende la prossima estate.

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